11 aprile 2020

Coronavirus un mese dopo

E' inutile negarlo: le conseguenze della pandemia che ci ha colpito sono molto più gravi di quanto potessimo immaginare solo un mese fa. Cosa abbiamo imparato e cosa dovremo fare per preparare un domani più giusto?




E' inutile negarlo: le conseguenze della pandemia che ci ha colpito sono molto più gravi di quello che io e quasi tutti noi potessimo immaginare solo un mese fa.
Gravi sul piano della salute, con le migliaia di morti che si susseguono ogni giorno, per lo più in desolante solitudine per il divieto di accedere a ospedali e case di riposo, documentate da tragiche immagini con cui TV e giornali non cessano di inondarci.
Gravi sul piano economico, con milioni di persone che hanno perso da un giorno all'altro la possibilità di lavorare e di mangiare, e di milioni di altri che, pur momentaneamente protetti, rischiano domani di non trovare più la loro fonte di lavoro e di reddito.
Gravi sul piano sociale, per il diffondersi, accanto a molte piccole e grandi iniziative di solidarietà, di un diffuso sentimento di paura e di sospetto verso l'altro, e per l'approfondirsi delle distanze tra le generazioni future, tra chi potrà continuare a studiare grazie a strumenti telematici, e chi, nelle zone geograficamente e socialmente più deboli del paese, cioè proprio dove la scuola sarebbe più necessaria, non avrà questa possibilità.

Grave anche, ma questa è un'opinione mia personale, quello che mi sembra un certo ottundimento dello spirito critico che ognuno di noi dovrebbe cercare di esercitare.
Mi stupisce l'accettazione acritica, quasi universale, delle misure di contenimento prese dal governo, la cui validità sarebbe dimostrata dal “fanno tutti così”; mi stupisce la seriosità con cui si discute sul nulla, come per esempio se sia lecito a un giovane sportivo correre a più di cento o duecento metri dalla sua abitazione; mi stupisce la convinzione, forse condivisa anche da qualche amico sindacalista, che ogni richiesta di ripresa dell'attività produttiva sia dettata da bramosia di profitto (“la salute prima del profitto!”) e non anche dalla preoccupazione per l'avvenire di migliaia di imprese, piccole e grandi, in un mondo che, al di là delle frontiere europee, non si è certo fermato per il coronavirus.

Scrivevo, un mese fa, che mi sembrava più ragionevole limitare il divieto di partecipare alla vita sociale ai soli ultrasettantenni (cioè alle classi di età nelle quali si verifica l'85% dei decessi per coronavirus), dove per “ragionevole” si intende il miglior compromesso tra l'esigenza di contenere l'infezione e quella di salvaguardare l'avvenire del paese. Leggo con piacere che il governo svedese ha invitato la popolazione a “lavarsi frequentemente le mani, mantenere una distanza tra persone e proteggere gli ultrasettantenni limitando i contatti con loro”. Il governo, spiega il capo epidemiologo Anders Tegell, “fa appello al senso di responsabilità del pubblico”, anziché dare ordini ai propri sudditi, come usa da noi.
Naturalmente è presto per sapere se l'esperimento funzionerà; al momento la mortalità da coronavirus è comparabile con quella dei paesi europei allo stesso stadio di diffusione della malattia, e che hanno viceversa adottato il modello sino-italiano.
Qui un articolo sull'esperienza svedese: https://bit.ly/2JW5b1p


Ho pensato di fare cosa utile agli amici lettori fornendo loro alcune semplici informazioni, divise in quattro capitoletti, raggiungibili singolarmente:

Breve storia delle epidemie:

Coronavirus: istruzioni per l'uso: stralci delle informazioni e prescrizioni del Ministero della salute in relazione all'epidemia di coronavirus. Lo scopo è quello di fornire una rapida panoramica a chi non desideri sobbarcarsi la lettura dell'intero documento, non certo quello di sostituirsi a una pubblicazione ufficiale che comprende anche numerose indicazioni di carattere sanitario.

Pro e contro l'uso delle mascherine (tra OMS e Regione Lombardia):

Alcuni numeri interessanti da conoscere: ipotesi sul reale numero dei deceduti, caratteristiche demo-sanitarie dei deceduti, confronti con altri paesi.


In questo mese, complice anche il confinamento forzato in casa, molti amici mi hanno scritto o mi hanno inviato articoli, saggi, proposte. Ringrazio tutti. Ne ho letti una buona parte e spero di leggerli tutti. Non ho risposto a nessuno. Vorrei raccoglierli per argomento e offrirli a tutti voi per una discussione collettiva, a cominciare da quello che dovremo fare, a partire da subito, per preparare un domani meno ingiusto dell'oggi. Un abbraccio a tutti


2 commenti:

  1. Il governo svedese ha fatto (unico tra i paesi industrializzati) unicamente appello al senso di responsabilità del pubblico. Il governo italiano ha sì dato ordini - perché le leggi sono per definizione ordini - ai propri cittadini (preferisco chiamarli così invece che "sudditi"), ma nello stesso tempo ha anch'esso fatto massicciamente appello al senso di responsabilità del pubblico. Una modalità senza l'altra lascia (nove volte su dieci) il tempo che trova.
    Il risultato (sul piano dei numeri) è stato il seguente: mentre in Finlandia c'è stato un decesso ogni 93.765 abitanti, in Norvegia ogni 40.141 abitanti, in Danimarca ogni 20.252 abitanti, in Svezia c'è stato un decesso ogni 10.921 abitanti. Sul piano della qualità dell'intervento, il Karolinska Institutet - l’università svedese cui fanno capo la formazione e la ricerca medica in Svezia e l’assegnazione del Nobel per la medicina e la fisiologia - ha indicano ai medici i criteri per stabilire a chi dare priorità per assegnare i posti nelle terapie intensive degli ospedali durante l'emergenza coronavirus: evitare la terapia intensiva a chi ha più di 80 anni, a chi ha più di 70 anni e più di un organo compromesso e a chi ha più di 60 anni e più di due organi compromessi. Sono criteri inevitabili ben noti ai medici che operano nel Terzo mondo o nelle situazioni di catastrofi o di guerra, i quali hanno il tremendo potere di scegliere chi vivrà e chi morirà. Ma la Svezia fa parte del primo mondo, non è in guerra e ha potuto a lungo contemplare le catastrofi nei paesi vicini. Ha preferito lasciar passare interi mesi - mentre la gente se ne poteva tranquillamente andare in giro o al ristorante - invece di aumentare i posti di terapia intensiva: la parziale privatizzazione della sanità, decisa per risanare i conti, ha portato la Svezia ad avere il minimo numero di posti per abitante per terapia d'emergenza dell'intera Unione europea. Inoltre, nessuna misura restrittiva per la popolazione. Eppure gli esperti sanitari sanno che le epidemie non si sconfiggono negli ospedali, ma sul territorio. Prova ne è la Grecia, la quale, pur avendo uno scassatissimo sistema sanitario nazionale e avendo imposto il distanziamento sociale prima di avere il suo primo (!) decesso, ha avuto un morto ogni 105.792 abitanti (meglio dell'ottima Finlandia). Una forte denuncia del comportamento svedese è stata effettuata da Adriano Sofri (Il foglio, 11 Aprile 2020). Ma Sofri è solo un intellettuale con nessuna responsabilità politica. Più importante e decisiva va giudicata la reazione di Stefan Löfven, il primo ministro socialdemocratico svedese: "Mi sembra ovvio che sotto tanti aspetti non abbiamo fatto abbastanza".

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  2. Se può interessare, da questa mappa interattiva si possono vedere i dati italiani aggiornati giornalmente (lo strumento si basa sui dati forniti quotidianmanete dalla Protezione Civile) https://www.corriere.it/salute/20_febbraio_25/coronavirus-mappa-contagio-italia-6ed25c54-57e3-11ea-a2d7-f1bec9902bd3.shtml

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