25 aprile 2020

A cent'anni dalla morte di Andrea Salsedo

Il 3 maggio di cento anni fa, su un marciapiede di New York viene trovato il corpo di Andrea Salsedo, precipitato dal quattordicesimo piano di un edificio che ospita alcuni uffici della procura di New York. Per le autorità fu un suicidio, per la famiglia e i compagni anarchici un omicidio. Ma chi era Salsedo e cosa successe quel giorno?



Quest'anno ricorre il 75° anniversario della Liberazione e della fine della guerra, ma è anche il centesimo anniversario di un evento molto più modesto, la “morte accidentale di un anarchico” per dirla con Dario Fo, che però si riferiva a un'altra morte, quella di Giuseppe Pinelli, avvenuta quasi cinquant'anni dopo quella di Salsedo.
Nativo di Pantelleria, in anni in cui molti esponenti della sinistra italiana vi venivano confinati, il tredicenne Salsedo incontra fra loro l’anarchico Luigi Galleani, che nell’isola aveva fondato una scuola popolare. Trasferitosi nei primi anni del nuovo secolo a Marsala, denuncia, dalle pagine del giornale “La Falange”, la politica repressiva e antioperaia del governo italiano. Le continue vessazioni poliziesche lo inducono presto a emigrare, prima in Tunisia e poi, nel 1906, in America.
A New York incontra il suo antico maestro Galleani, con il quale inizia a collaborare alla rivista “La cronaca sovversiva” ed entra nel sindacato degli “International World Workers”, che si diffonde rapidamente tra gli operai della costa Est, in gran parte immigrati, e nei distretti minerari, riuscendo a organizzare numerosi scioperi vittoriosi. Finalmente riesce a coronare il suo sogno e a diventare editore in proprio; pubblica allora numerosi testi degli autori anarchici preferiti. 
Ma intanto il clima di intolleranza si fa sempre più pesante; alimentata dalla “paura rossa”, negli anni tra il 1917 e il 1920 si scatena la repressione contro socialisti e anarchici, attivisti e sindacalisti, giornalisti e stampa di sinistra. L’FBI chiuse tipografie e circoli e arrestò migliaia di persone. Alla repressione gli anarchici risposero con attentati dinamitardi. 
Sul luogo di uno di questi, a Washington, vengono trovati volantini di colore rosso. Le indagini portano a Roberto Elia, che lavorava nella tipografia di Salsedo. Il 25 febbraio 1920 Elia e Salsedo vengono arrestati e condotti in un locale segreto del Ministero della giustizia di Manhattan, e precisamente al numero 21 di Park Row Building. Mentre Elia viene praticamente lasciato in pace, Salsedo viene massacrato di botte, tanto da lasciarlo sfigurato, fino alla sua “confessione”. 
Dopo la “confessione”, i due possono godere di una relativa tranquillità, ma Salsedo sta molto male. Inizia una corrispondenza con Vanzetti, il quale, assieme a Sacco, è impegnato in una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per la liberazione di Salsedo.
La mattina del 3 maggio il corpo di Salsedo viene trovato sul marciapiede dopo un volo di 14 piani. La tesi ufficiale del suicidio, a pochi giorni dalla probabile libertà provvisoria, non regge. Si ipotizza che Salsedo abbia subito un altro violento interrogatorio dal quale non è uscito vivo. Due giorni dopo vengono arrestati Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
Ed è proprio qui, in questo impegno di Sacco e Vanzetti per la liberazione di Salsedo, che sta il mio primo inconto col personaggio, citato da Kurt Vonnegut nel racconto “L'uccisione di Sacco e Vanzetti”, che trovate nel mio blog alla data del 17 settembre 2010.
Così anche questa morte, benché non sia avvenuta né per impiccagione né sulla sedia elettrica, può a buon diritto inserirsi tra quelle dei “martiri di Chicago”, i cinque anarchici impiccati innocenti nel 1887 dopo gli incidenti seguiti alle grandi manifestazioni per le otto ore del 1° maggio dell'anno precedente, quella di Sacco e Vanzetti del 1927, e quella di Ethel e Julius Rosenberg nel 1953.

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui un tuo commento