5 settembre 2020

Il 20 settembre difendiamo la Costituzione

Elena Basso

I prossimi 20 e 21 settembre si terrà il referendum costituzionale in cui saremo chiamati a decidere se confermare o meno il taglio di 345 parlamentari. A poche settimane dall’appuntamento, ancora scarsa è l’informazione e il timore è che si voti sull’onda di un generico sentimento anti-casta. Siamo sempre più convinti che la Costituzione debba essere attuata, non violentata.


I prossimi 20 e 21 settembre si terrà il referendum costituzionale in cui saremo chiamati a decidere se confermare o meno il taglio di 345 parlamentari, una riforma su cui si sono già espressi positivamente Camera e Senato. 
Nonostante tutte le forze politiche abbiano votato a favore, con poche eccezioni e qualche defezione personale, al Senato non si sono raggiunti i voti dei due terzi dei componenti l’aula, necessari per approvare definitivamente la riforma, aprendo così la strada al referendum.
Nello specifico la riforma prevede la modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione e fissa il numero totale dei parlamentari a 600, con 400 deputati e 200 senatori (al momento sono 630 e 315). 
La Costituzione del 1948 legava il numero dei parlamentari alla popolazione: un deputato ogni 80.000 abitanti e un senatore ogni 200.000. La revisione costituzionale del 1963 ha abbandonato questo principio stabilendo che gli eletti dovessero essere in totale 945, più i senatori a vita. 
Sono troppi? Per i favorevoli al “taglio” sì: come numero di parlamentari siamo i secondi in Europa, dietro solo alla Gran Bretagna. I sostenitori del No, viceversa, sottolineano che in rapporto alla popolazione rientriamo perfettamente nella media europea.
Il paragone fra sistemi politici diversi ci pare comunque un po’ fuorviante (anche perché molto diverse sono le caratteristiche della Camera Alta nei diversi paesi europei), ma per chi volesse capire meglio la questione rimandiamo al sito https://www.youtrend.it/2020/08/29/si-o-no-la-guida-youtrend-al-referendum-costituzionale/.

Un altro argomento dei sostenitori del sì è che la riduzione dei parlamentari aumenterebbe l’efficienza del Parlamento stesso. Oggi, spiegano, i due terzi dei parlamentari non ha nessun ruolo e il 40% diserta le votazioni. 
Ma l’argomento principe utilizzato dai fautori della riforma è il risparmio per i conti pubblici, un risparmio risibile che si sarebbe potuto ottenere in molti altri modi, ad esempio riducendo le indennità parlamentari o ridimensionando le ipertrofiche Regioni. Purtroppo sarà proprio questa la motivazione che spingerà molti elettori a esprimersi, mossi da un comprensibile sentimento di sfiducia nella classe dirigente, che però non guarda alle reali cause del degrado della politica, e anzi può aggravare i problemi che vorrebbe risolvere.
Una riforma che «appare ispirata da una logica punitiva nei confronti dei parlamentari, […] svilisce il ruolo del Parlamento e ne riduce la rappresentatività, senza offrire vantaggi apprezzabili né sul piano dell’efficienza, né su quello del risparmio della spesa pubblica», scrivono in un appello duecento costituzionalisti. 
Ci sono state in passato diverse proposte di riforma che comprendevano anche una riduzione dei parlamentari, ma erano inserite in un disegno di riordino complessivo, un disegno che oggi non c’è. Per alcuni, come il PD, si tratta di un primo passo, al quale si devono aggiungere dei correttivi, primi fra tutti la riforma della legge elettorale e i regolamenti delle commissioni. Una legge elettorale non è però una riforma costituzionale e niente impedisce che possa essere ripetutamente cambiata da una maggioranza semplice, e in ogni caso di questi correttivi non c’è traccia. 
Il rischio oggi è che un minor numero di eletti escluda i partiti più piccoli, spesso ritenuti un ostacolo alla governabilità, un mantra che ha indebolito negli anni il Parlamento e la sua centralità. “Il parlamento – scrive Gaetano Azzariti - dovrebbe essere un’arena difficile in cui il governo si impegna a trovare le soluzioni, a cambiare le sue idee in campo aperto. E’ un lavoro complesso e infatti da tempo ha prevalso l’opinione che occorre garantire anzitutto la governabilità, così il governo sa che il parlamento accoglie le sue proposte senza troppe difficoltà. La velocità in cambio della qualità, della visione lunga. Il risultato è un disastro”. 
Per Giovanni Bianchi la Costituzione era una sinfonia: modificarne una nota ne avrebbe rotto l’armonia. Solo la perfetta conoscenza di tutta la composizione permetterebbe di modificarla. 
Ecco, una modifica costituzionale richiede una discussione ampia, che consenta a chi è chiamato a valutarla di comprenderne le implicazioni. Un voto emotivo non può portare che a un’ulteriore delegittimazione del Parlamento.
Da ultimo, desta grande perplessità la scelta di accorpare la votazione per un referendum costituzionale con altre tornate elettorali. Si potrebbe arrivare al paradosso di risultati diversi a seconda che si voti solo per il referendum o anche per le regionali.
Un brutto pasticcio.




1 commento:

  1. Partendo dal semplice numero dei parlamentari vorrei relativizzare l'importanza sia del numero assoluto che di quello relativo rispetto alla popolazione. Nel primo caso, penso in effetti che ci sia un qualche limite, che non saprei precisare, sia in alto che in basso: cioè, da una parte, oltre un certo numero l'assemblea diventa difficile da gestire e, dall'altra, assemblee troppo ridotte non permettono un adeguato confronto dialettico, che è uno dei sali della democrazia. Nel secondo caso, non penso che un parlamento sia peggiore in proporzione al numero di abitanti per parlamentare (in questo caso il peggiore - secondo la tabella dell'ottimo sito segnalato Youtrend - sarebbe il parlamento tedesco e il migliore quello maltese, mentre nel mondo il peggiore e il migliore sarebbero rispettivamente quello indiano e quello di San Marino).
    Non si capisce perché, con la diminuzione del numero dei parlamentari, l'elevato tasso di assenteismo alle votazioni dovrebbe diminuire e nemmeno si capisce il legame tra efficienza del parlamento e tasso di assenteismo (pochi parlamentari possono anche essere efficienti e tanti non esserlo, ma è vero anche il contrario).
    Quanto al risparmio dei conti pubblici, è vero che esso sarebbe molto limitato. Ciò non costituisce però un argomento a favore del "no", perché, da una parte, la teoria del "benaltrismo" - in questo caso "c'è ben altro da tagliare" - è sterile, anche quando dice cose vere, e, dall'altra, quando si vuole risparmiare, anche un risparmio di entità limitata serve all'obiettivo. Piuttosto, c'è un argomento molto più importante contro l'argomento della diminuzione dei costi: la democrazia ha alcuni costi, ma non è un costo e, se le leggi sono buone, il loro costo è utile.
    La riforma è senz'altro ispirata, in molte persone che l'hanno sostenuta, da una logica punitiva nei confronti dei parlamentari - anche se questa logica fa pure un po' ridere, perché non si capisce bene come potrebbe di fatto punirli - ma ciò costituisce un argomento irrilevante al fine di scegliere tra il "no" e il "sì", perché io devo valutare le conseguenze del risultato del voto e non le intenzioni di chi lo ha promosso (intenzioni, buone o cattive che siano, di cui ben si sa essere lastricata "la via dell'inferno", secondo un noto aforisma).
    La riforma, infine, mentre indubitabilmente riduce la rappresentatività del parlamento - il che non sarebbe necessariamente negativo, ma lo è perché la riduce in modo truffaldino a causa dell'attuale iniqua legge elettorale - non si capisce perché debba svilirne il ruolo, dal momento che le funzioni del parlamento risultano le stesse di prima.
    Il PD ha fatto bene a collegare questa riforma alla modifica in senso proporzionale della legge elettorale (ma meglio avrebbe fatto a escludere anche qualsiasi soglia di sbarramento), ma ha commesso la non scusabile ingenuità (un difetto molto grosso in politica) di accontentarsi della promessa che, dopo la riforma, si sarebbe modificata la legge elettorale. Sveglia! Prima la legge elettorale e dopo, ok, si possono diminuire i parlamentari.
    Ho molto apprezzato la denuncia dell'accorpamento del referendum con le elezioni regionali. Non andrebbero mai accorpate elezioni diverse, ma in questo caso il danno è superiore a quello consueto, perché la percentuale di votanti sarà significativamente diversa tra le regioni in cui si vota anche per il consiglio regionale e quelle dove si vota solo per il referendum, con il rischio di falsare in modo abnorme il risultato. Il fatto che fortunatamente nei referendum costituzionali non ci sia il quorum non modifica l'enormità dell'errore: non penso sia stato deciso con dolo (cioè per pilotare il risultato) - si voleva piuttosto, causa coronavirus, diminuire gli appuntamenti elettorali - ma la decisione è stata colposa.

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