Nel 2012 il presidente cinese Xi Jinping dichiarò che avrebbe eliminato la povertà assoluta nel paese entro il 2020, in anticipo di dieci anni rispetto agli obiettivi fissati dall’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, un obiettivo che è stato sostanzialmente raggiunto.
Lo scorso novembre, e nonostante la pandemia, anche le ultime contee rurali cinesi hanno confermato la completa eradicazione della povertà assoluta, un traguardo straordinario riconosciuto da tutti gli organismi internazionali che si occupano di povertà.
In soli otto anni 90 milioni di persone, prevalentemente nelle zone rurali, sono uscite dalla povertà assoluta, che in Cina significa disporre di un reddito di poco più di 600 dollari annui, leggermente inferiore a quanto stabilito dalla Banca mondiale.
Non sappiamo molto della Cina, oltre al fatto che in meno di quarant’anni è passata da paese agricolo arretrato a essere la seconda potenza economica mondiale, trasformandosi anche, di pari passo col processo di modernizzazione accelerata, in una delle società più disuguali al mondo. Non sappiamo perciò valutare se sia stato calcolo politico o spinta ideale, tanto che qualche beneficiato ha paragonato Xi Jinping a Mao, ma certamente è un risultato eccezionale, ottenuto con un programma articolato fatto di sovvenzioni dirette, prestiti, nuovi alloggi, strade, istruzione, servizi sanitari.
Negli ultimi cinque anni Pechino ha speso 700 miliardi di dollari in prestiti e sovvenzioni, ai quali si aggiungono donazioni di imprese statali, compresi 120 miliardi per il rinnovamento della rete elettrica nelle zone rurali. È stato inoltre fortemente ampliato l’accesso all’acqua potabile, che resta però ancora un problema per cento milioni di persone (https://www.nytimes.com/2020/12/31/world/asia/china-poverty-xi-jinping.html).
Naturalmente il programma ha sollevato diverse critiche, a partire dalla sua sostenibilità economica a lungo termine e per i metodi talvolta autoritari, come i trasferimenti forzati. Discutibile è stata poi la scelta di aver considerato estremamente poveri solo coloro che lo erano dal 2014 al 2016, trascurando chi potrebbe esserlo diventato dopo o chi vive appena sopra la soglia di povertà. Nelle zone rurali l’assistenza sanitaria è molto ridotta, e non copre le spese di chi ha seri problemi di salute. Inoltre, molto poco è stato fatto per chi vive in città e che, pur percependo salari più elevati, deve confrontarsi con un costo della vita più alto.
Ora, ed è quanto prevede il nuovo piano quinquennale, il governo dovrà lavorare per consolidare i risultati raggiunti (che per inciso gli hanno fatto guadagnare un notevole consenso politico) e che la sua strategia potrà essere un modello per altri paesi.
In soli otto anni 90 milioni di persone, prevalentemente nelle zone rurali, sono uscite dalla povertà assoluta, che in Cina significa disporre di un reddito di poco più di 600 dollari annui, leggermente inferiore a quanto stabilito dalla Banca mondiale.
Non sappiamo molto della Cina, oltre al fatto che in meno di quarant’anni è passata da paese agricolo arretrato a essere la seconda potenza economica mondiale, trasformandosi anche, di pari passo col processo di modernizzazione accelerata, in una delle società più disuguali al mondo. Non sappiamo perciò valutare se sia stato calcolo politico o spinta ideale, tanto che qualche beneficiato ha paragonato Xi Jinping a Mao, ma certamente è un risultato eccezionale, ottenuto con un programma articolato fatto di sovvenzioni dirette, prestiti, nuovi alloggi, strade, istruzione, servizi sanitari.
Negli ultimi cinque anni Pechino ha speso 700 miliardi di dollari in prestiti e sovvenzioni, ai quali si aggiungono donazioni di imprese statali, compresi 120 miliardi per il rinnovamento della rete elettrica nelle zone rurali. È stato inoltre fortemente ampliato l’accesso all’acqua potabile, che resta però ancora un problema per cento milioni di persone (https://www.nytimes.com/2020/12/31/world/asia/china-poverty-xi-jinping.html).
Naturalmente il programma ha sollevato diverse critiche, a partire dalla sua sostenibilità economica a lungo termine e per i metodi talvolta autoritari, come i trasferimenti forzati. Discutibile è stata poi la scelta di aver considerato estremamente poveri solo coloro che lo erano dal 2014 al 2016, trascurando chi potrebbe esserlo diventato dopo o chi vive appena sopra la soglia di povertà. Nelle zone rurali l’assistenza sanitaria è molto ridotta, e non copre le spese di chi ha seri problemi di salute. Inoltre, molto poco è stato fatto per chi vive in città e che, pur percependo salari più elevati, deve confrontarsi con un costo della vita più alto.
Ora, ed è quanto prevede il nuovo piano quinquennale, il governo dovrà lavorare per consolidare i risultati raggiunti (che per inciso gli hanno fatto guadagnare un notevole consenso politico) e che la sua strategia potrà essere un modello per altri paesi.
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