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Nel 2004 l’Italia istituì il “Giorno del ricordo”, fissandone la data al 10 febbraio, “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Perché questa giornata abbia un senso, occorrerebbe partire dalle ultime parole, e cioè “dalla più complessa vicenda del confine orientale”. Aprire questo capitolo significa scorrere alcune delle pagine più buie della storia d’Italia, che raccontano cosa fu il fascismo di frontiera o l’occupazione della Slovenia. Tragedie che non giustificano le tragedie successive, ma spiegano il contesto in cui avvennero. Scriveva Alex Langer nel 1993: “Al pari dei tedeschi di tanti paesi dell'Europa orientale, che hanno dovuto pagare i debiti del nazismo, sottoponendosi a una larga epurazione etnica, è successo anche agli italiani istriani e dalmati di dover pagare per il fascismo, lasciando le terre nelle quali erano radicati da secoli, in buona convivenza con popolazioni slave”. (https://www.alexanderlanger.org/it/34/183).
Fu dunque il fascismo la causa prima di guerre, odio, violenza, lutti, ingiustizie, orrori che si sommano a orrori.
Il tono lo dà subito Mussolini, che in un celebre discorso del 1920, a Pola, dice, tra l'altro:
[…] Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante. Abbiamo incendiato l'Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata a Trieste, l'abbiamo incendiata a Pola.
[…] Oltre alla cerchia dei nostri monti, o istriani, c'è un popolo aggressivo, che vuole raggiungere l'Adriatico.
[…] Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone.
[…] I confini d'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche; sì le Dinariche per la Dalmazia dimenticata!
Il nostro imperialismo, che vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e che vuole espandersi nel Mediterraneo, non è quello prussiano violento, né quello inglese ipocrita; è invece quello romano.
Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche.
L’annessione all’Italia di terre slave a seguito della vittoria nella Grande guerra portò a una situazione di instabilità. La debolezza dei governi prefascisti, che intendevano garantire una certa autonomia ai territori annessi e la tutela delle minoranze croate e slovene, lasciò spazio all’aggressività fascista, in un crescendo di misure di “bonifica etnica” (messa fuori legge dei partiti sloveni, proibizione dell’uso della lingua madre, italianizzazione di nomi e cognomi, persecuzione della Chiesa cattolica slovena) che acuirono il sentimento anti-italiano, ossia fascista.
La tensione crebbe con l’aggressione italiana alla Jugoslavia nel 1941 contro la quale combatterono le neonate formazioni partigiane. Mussolini rispose con inaudita violenza, con l’incendio di case e villaggi, uccisioni indiscriminate, la deportazione di circa 30.000 civili nei campi istituiti in Italia.
La violenza raggiunse il suo apice nel corso dell'offensiva italiana del 1942, testimoniata dalle parole del generale Robotti, “Qui non si ammazza abbastanza!”
Nell'autunno del ‘43, durante la breve occupazione dell'Istria, il movimento di liberazione jugoslavo uccise circa 500 italiani, principalmente dirigenti fascisti, gettati poi nelle foibe, pozzi naturali disseminati in tutto l'altopiano carsico.
Più sistematica e violenta fu la “resa dei conti” nel maggio del '45, dopo la vittoria sul nazismo, quando furono fucilate dopo processi sommari, e poi gettate nelle foibe, circa 4000 persone. Se la maggioranza delle vittime erano state autori o complici della violenza anti-slava, non mancarono tra le vittime anche antifascisti italiani contrari all'inglobamento nella Jugoslavia, sloveni e croati collaborazionisti, o civili italiani appartenenti all'élite sociale ed economica.
È da evidenziare che storici di diversa provenienza concordano sul numero delle vittime delle foibe, stimate in 500-700 nel 1943 e 4-5000 nel 1945.
La retorica che ammanta il giorno del ricordo non restituisce nessuna verità storica, non racconta nemmeno cosa furono le foibe, ma ne ingigantisce il dramma “per – scriveva lo storico Enzo Collotti - oscurare la risonanza dei crimini nazisti e fascisti ed omologare in una indecente e impudica par condicio della storia tragedie incomparabili”.
Mentre in altri paesi europei si cerca, riconoscendo le sofferenze e i lutti di altri popoli, di costruire una storia condivisa basata sui fatti, l’Italia va in senso contrario e usa strumentalmente frammenti di storia per costruire una propria diversa identità nazionale, incurante di riaccendere conflitti con i vicini sloveni e croati (e supponiamo sarebbe più attenta se fossero stati più grandi e potenti).
Eppure già nel 2001 una commissione congiunta storico-culturale italo-slovena, dopo un lavoro di sette anni, pubblicò una relazione colpevolmente ignorata in Italia. Leggere questo rapporto, di poche seppur intense pagine, aiuterebbe, come dice il consigliere regionale friulano Igor Gabrovec, “a togliere la storia dalle grinfie della politica”,
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