3 febbraio 2021

Assange: pericoloso criminale o coraggioso giornalista?

Vi abbiamo recentemente ricordato la vicenda di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, rifugiato per sette anni nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, e ora in un carcere inglese in attesa di conoscere l’esito definitivo della richiesta di estradizione. 


Per ora il processo si è concluso con una vittoria a metà. Da una parte Londra non ha concesso l’estradizione verso gli Stati Uniti, dall’altra non ha accolto nessuna delle solide argomentazioni della difesa, se non quella “umanitaria”. Per la giustizia britannica se Assange fosse estradato, date le sue condizioni psichiche, potrebbe suicidarsi.
La forte pressione di grandi organizzazioni come Amnesty International e Reporters sans frontières, insieme ai sindacati dei giornalisti di tutto il mondo e ad alcune figure politiche di spicco è stata determinante per l’esito di questo processo, e anche i media in passato più critici nei confronti di Wikileaks hanno capito che le accuse contro il giornalista australiano rappresentano una grave minaccia per la libertà di stampa. 
Con questa sentenza ambigua la giustizia britannica si dimostra supina verso gli Stati Uniti non riconoscendo la politicità delle accuse, e allo stesso tempo si pulisce la coscienza negando l'estradizione per motivi umanitari.
Ora gli Stati Uniti sono ricorsi in appello, e c’è attesa su cosa farà Joe Biden. Certo un processo ad Assange sarebbe molto imbarazzante per gli Stati Uniti, che sarebbero costretti a riesumare i fatti denunciati e documentati da Wikileaks, dalle torture a Guantánamo agli intenzionali omicidi di civili nelle guerre in Afghanistan e Iraq.

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