4 dicembre 2020

“Il proprietario del locale campo da golf ha perso le elezioni presidenziali 2020”

 “Il proprietario del locale campo da golf ha perso le elezioni presidenziali 2020”: è questo il titolo con cui lo ayrshire daily news, il quotidiano della contea scozzese dove Trump possiede un campo da golf, ha dato notizia dell'esito delle elezioni presidenziali americane [1].
Di queste, della posta in gioco, del loro esito, dei complessi meccanismi che portano all'elezione del presidente, sappiamo ormai tutto, o quasi. Non ho certo la pretesa di aggiungere niente di nuovo, spero solo di portare un po' d'ordine nelle cose che sappiamo.

I ritardi
Cominciamo dai ritardi. La mattina di mercoledì (4 novembre, l'indomani del giorno delle votazioni) sembrava che Trump avesse vinto, essendo in vantaggio in quasi tutti gli stati ancora incerti. Poi, poco a poco, giorno dopo giorno, via via che nuove schede (quelle giunte per posta) venivano scrutinate, il distacco si andava riducendo, sino a che Biden superava Trump in quasi tutti gli stati in bilico, assicurandosi così una confortevole maggioranza nel collegio elettorale.
Perché questo ritardo, che ha causato grande sfiducia nell’opinione pubblica e ha permesso a Trump di agitare per settimane il sospetto di brogli a suo danno, brogli assolutamente insistenti nei fatti e nelle sentenze dei tribunali, ma ben reali nella testa di molti milioni di americani, tuttora convinti che la vittoria sia stata “scippata” al presidente Trump? 
E’ probabile che i tempi si siano allungati per l'eccezionalità delle circostanze: altissima affluenza alle urne, esplosione del voto postale, difficoltà, in qualche caso, a trovare un numero sufficiente di scrutatori per l'emergenza pandemica.
Il motivo fondamentale è però un altro: il timore di media, agenzie di sondaggio, catene televisive, grande stampa, di ripetere l'errore del 2016, quando diedero l'annuncio della vittoria di Hillary Clinton mentre invece a vincere fu Trump. Sì, perché sempre, negli Stati Uniti come in molte altre parti del mondo, a comunicare l’esito del voto sono i media, mentre i dati ufficiali arrivano molti giorni o anche settimane dopo. Non solo questa volta, ma sempre. Non solo negli stati incerti, ma in tutti, anche in quelli il cui esito è noto prima ancora di scrutinare la prima scheda, grazie al meccanismo per cui il vincitore prende tutto, non importa se col 90% dei voti o con un risicato 50,1.

Il collegio elettorale
Come funziona questo meccanismo del “winner takes all”, il vincitore prende tutto?
Il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti non vengono eletti direttamente dal popolo, ma da un collegio di 538 “grandi elettori” eletti in ogni stato dell'Unione in numero pari alla somma del numero di deputati e di senatori di quello stato. Ora, poiché il numero di deputati è proporzionale al numero di abitanti dello stato, mentre i senatori sono due per ogni stato, indipendentemente dalla popolazione, è chiaro che questo sistema favorisce gli stati poco popolati rispetto a quelli più popolosi: così stati come la California o il Texas eleggono un grande elettore ogni circa 700.000 abitanti, un numero pari alla popolazione di stati come l’Alaska o il Nord Dakota, che però, avendo due rappresentanti al Senato e uno alla Camera, ne eleggono ciascuno tre.
Inoltre, in tutti gli stati (con la sola parziale eccezione del Maine e del Nebraska) i delegati al collegio elettorale non vengono assegnati in proporzione ai voti ottenuti da ciascun candidato presidente, ma vanno in blocco al ticket presidenziale che ha ottenuto più voti.
Siamo quindi in presenza di un doppio strappo al principio dell'uguaglianza del voto di ogni cittadino, prima di tutto perché il voto degli elettori degli stati meno popolosi, spesso prevalentemente rurali e di orientamento conservatore, vale due o tre volte il voto degli elettori degli stati più grandi, in generale più urbanizzati e di orientamento progressista. È grazie ai risultati ottenuti negli stati più piccoli che, da tempo, i repubblicani detengono la maggioranza dei seggi al Senato pur ottenendo meno voti dei democratici.
Questa differenza nel “peso” del voto nei diversi stati, del resto, è all'origine della stessa formazione dell'Unione, quando gli stati schiavisti pretesero che nel calcolo della popolazione di ogni stato, in base alla quale si determinava il numero di deputati al congresso e il numero di grandi elettori, venissero contati anche gli schiavi (calcolati pari a tre quinti di un uomo libero), anche se questi ultimi, ovviamente, non votavano (come del resto non votavano le donne, né, in molti stati, i non possidenti, anche se maschi bianchi).
Ma dove il sistema produce le maggiori distorsioni è nel “winner takes all” , cioè nell'attribuzione di tutti i delegati dello stato al ticket vincitore, anche solo per poche migliaia di voti. Questo rende praticamente inutili i voti degli americani (la grande maggioranza) che vivono in stati solidamente democratici o solidamente repubblicani, i cui risultati, a meno di radicali, e altamente improbabili, cambiamenti di fronte, sono noti prima ancora di scrutinare la prima scheda.
In pratica, quindi, il presidente degli Stati Uniti viene scelto da quella minoranza di elettori che vivono negli stati “in bilico”, che possono spostare l'ago della bilancia in un senso o nell'altro. Alla vittoria di Biden hanno contribuito di più i mille voti conquistati in qualche oscura contea della Georgia che non i milioni di voti della California o di New York.
Non stupisce quindi che le campagne elettorali, e le centinaia di milioni di dollari di spesa che queste comportano, si concentrino, come sappiamo, negli stati “contendibili”, o supposti tali.
È chiaro che questo doppio strappo al principio di uguaglianza del voto (sovra-rappresentazione dei piccoli stati e principio del “winner takes all”) porta con sé una distorsione del voto popolare: negli ultimi trent’anni i repubblicani hanno conquistato tre volte la presidenza, ma solo in un caso (George Bush contro John Kerry nel 2004) hanno avuto la maggioranza del voto popolare. Anche Hillary Clinton, pur perdendo, aveva ottenuto tre milioni di voti in più di Trump.

I risultati
I risultati sono noti: Biden ha vinto, con 81 milioni di voti (e 306 grandi elettori) contro 74 milioni (e 232 grandi elettori) per il suo avversario.
I commenti sono stati molti, e ciascuno di noi si sarà fatto un’idea. Mi limito a fornire qualche elemento di fatto che può aiutare a inquadrare il risultato.
Molti osservatori ritengono che l’elemento fondamentale nella sconfitta di Trump sia stato la gestione dell'epidemia da coronavirus. Senza di questa, difficilmente un presidente in carica che si presentava con un’economia in crescita e una bassissima disoccupazione avrebbe potuto essere sconfitto. Ma la scelta negazionista, cioè negare il contagio per non fermare l’economia, si è rivelata perdente, perché la diffusione del contagio ha finito inevitabilmente per far crollare anche l’economia. Il risultato è che, secondo gli exit poll della Cnn, il 41% degli statunitensi ritiene che la sua condizione economica sia migliorata rispetto a quattro anni fa, e al 72% vota Trump, mentre il 58% ritiene che sia peggiorata o sia rimasta uguale, e in grandissima maggioranza vota Biden.
D'altra parte queste elezioni hanno confermato un trend in atto da tempo, che possiamo definire di “polarizzazione” dell'elettorato: nel 1980 solo 391 delle oltre 3.100 contee del Paese vedevano un distacco tra i candidati di 20 punti oltre quello medio nazionale. Nel 2000 erano 600 e nel 2020 sono state 1.726. I territori, cioè, tendono a essere politicamente omogenei, da una parte o dall'altra. Allo stesso tempo i partiti tendono a caratterizzarsi meglio: tra i repubblicani diminuiscono i moderati e crescono i conservatori (che noi chiameremmo reazionari), e tra i democratici crescono i progressisti (che in America si chiamano “liberal”) [2].
Il 3 novembre gli elettori non erano chiamati solo a eleggere il nuovo presidente e vice-presidente, ma anche a rinnovare metà del Senato e l’intera Camera dei deputati, e a eleggere numerosi rappresentanti nei parlamenti locali (statali). Ora, la vittoria di Biden alle presidenziali non si è tradotta in quell’onda democratica che i sondaggisti avevano previsto. Al contrario, i democratici hanno perso alcuni seggi sia nel congresso sia nei parlamenti locali [3].
L'esame dei risultati contea per contea mostra che gran parte degli elettori di ceto medio-superiore (i cosiddetti “suburbani”, cioè gli abitanti dei quartieri residenziali all’esterno dei centri storici) hanno rifiutato la politica divisiva e avventata di Trump, ma non per questo hanno abbracciato le posizioni dei democratici né hanno voltato le spalle ai candidati repubblicani locali.

I referendum
Questa relativa ambiguità dei risultati elettorali trova una conferma nell’esito di molte battaglie attorno a varie proposte di legge di iniziativa popolare, molte delle quali, sostenute da ampie coalizioni progressiste, sono state approvate, mentre molte altre sono state respinte.
Tra le molte battaglie vinte hanno un forte significato simbolico le decisioni dei cittadini del Mississippi e del Rhode Island di cancellare le tracce del loro passato schiavista, i primi abbandonando la loro bandiera, che mostrava l’emblema dei confederati (gli stati schiavisti del Sud durante la guerra di secessione americana), e i secondi ribattezzando il loro stato semplicemente “Rhode Island” e non più “Rhode Island and Providence Plantations” che ne rievocava il passato schiavista.
Più concretamente, numerosi stati hanno approvato l’aumento dei finanziamenti alle scuole pubbliche, e in particolare l’Oregon ha votato un aumento delle tasse sui redditi più alti per finanziare l’asilo nido universale, mentre la Florida si è espressa per l’aumento graduale del salario minimo fino ai 15 dollari all’ora, una rivendicazione al centro di molte piattaforme sindacali in tutti gli Stati Uniti [4].
La California ha respinto la proposta di inasprire le pene per alcuni reati, mostrandosi ancora una volta all'avanguardia nel ridurre l’incarcerazione di massa (con oltre due milioni di detenuti gli Stati Uniti sono il paese col più alto tasso di carcerazione del mondo) e nell'impegno per la riforma del sistema giudiziario.
Daltra parte però lo stesso elettorato ha approvato (con il 60% dei voti) la Proposition 22, una proposta delle compagnie che offrono lavoro gig, come Uber, Lyft e altre, che esclude questi lavoratori dai benefici sindacali di base, e li classifica come lavoratori autonomi, con una limitata assistenza sanitaria e una paga base di poco superiore ai 5 dollari. Per ottenere questo risultato le aziende, oltre a minacciare di ritirarsi dalla California in caso di vittoria dei lavoratori, hanno speso 200 milioni di dollari per la campagna, un record per un votazione del genere.
Con margini analoghi sono state respinte le proposte di controllo dei canoni d’affitto e di una tassa (una specie di IMU) sulla proprietà immobiliare [5].

La sinistra
“Meglio Hitler del fronte popolare” era l’inespressa stella polare del grande padronato francese dopo il 1936, che mentre partecipava al riarmo della Germania stringeva accordi segreti per evitare l’eventuale bombardamento delle loro fabbriche [6].
Ottant'anni dopo per fortuna non c'è più Hitler, ma ho pochi dubbi che il primo obiettivo dell’“establishment” democratico fosse quello di impedire a tutti i costi una vittoria di Bernie Sanders, che pure tutti i sondaggi, durante le primarie democratiche, davano come l’unico in grado di battere Trump e di riconquistare i voti degli operai della “cintura della ruggine”, che avevano perso il lavoro, e con esso la dignità e il reddito, per le politiche di globalizzazione e i trattati di libero scambio portati avanti dall'amministrazione Clinton. La corsa di tutti i candidati democratici a ritirarsi a favore di Biden dopo la sua vittoria in South Carolina aveva tutta l’aria di una manovra organizzata per impedire il probabile successo di Sanders.
La maggior parte delle formazioni progressiste e socialiste, che si erano raccolte attorno a Bernie Sanders e a quella che la rivista Jacobin ha definito la sua «guerra dei 5 anni», hanno dovuto superare la delusione della sconfitta e impegnarsi (peraltro abbastanza disciplinatamente) nella campagna elettorale a sostegno di Biden. Molti auspicavano che questo impegno significasse che almeno una parte degli obiettivi politici e sociali della mobilitazione potessero trovare posto nel programma di Biden, se eletto (e Sanders ci ha provato). Ma appena garantita l’elezione, sono subito partiti gli attacchi da parte delle forze dell’establishment contro la sinistra del partito, accusata di essere responsabile di un risultato sotto le aspettative.
Ora la strada è tutta in salita: Biden ha vinto sull’onda di una voglia di normalità, di ritorno a un tranquillo consenso centrista bipartisan, di nostalgia per un’epoca in cui lo scontro razziale, sociale e culturale era meno appariscente se non meno violento. Una volontà di normalizzazione destinata con ogni probabilità a scontrarsi con la realtà, tra pandemia, crisi economica alle porte, tensioni razziali senza precedenti ed emergenza climatica che incombe. Il rischio che, come già accaduto con Barack Obama, la delusione delle speranze democratiche porti a una nuova svolta reazionaria è molto concreto.
Il compito di organizzare una efficace pressione dal basso sull’Amministrazione Biden sarà un compito molto difficile per i movimenti USA, e ci ricorda quanto sia complicato il problema del rapporto fra impegno sulle scadenze elettorali e capacità di costruire organizzazione sul terreno sociale.
Un elemento positivo è che stavolta c’è un embrione di sinistra organizzata a lavorare in senso opposto: la rielezione trionfale di Alexandria Ocasio-Cortez e delle altre deputate di sinistra elette nella scorsa legislatura, il successo di una candidata targata Black Lives Matter come Cori Bush, insieme a tante piccole vittorie referendarie ed elettorali in giro per gli Stati Uniti, mostrano, almeno in potenza, un terzo incomodo tra normalizzazione centrista ed estremismo reazionario [7], [8].

[1] https://www.ayrshiredailynews.co.uk/post/south-ayrshire-golf-club-owner-loses-2020-presidential-election
[2] https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Dentro_il_voto_USA.html
[3] https://www.nytimes.com/2020/11/28/us/politics/democrats-republicans-state-legislatures.html?
[4] https://www.agi.it/estero/news/2020-11-05/usa-2020-referendum-uber-marijuana-aborto-10185335/
[5] https://www.nytimes.com/2020/11/05/us/california-election-results.html?
[6] http://1libertaire.free.fr/Patroncollabo.html
[7] https://jacobinitalia.it/bye-bye-donald-ma-nulla-sara-piu-come-prima/
[8] https://morningstaronline.co.uk/article/f/election-according-communist-party-usa

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