8 gennaio 2020

Venti di guerra: confidiamo nell'Iran


L'impero americano ha due secoli di vita;  la Persia ha quaranta secoli di storia. E' anche per questo, oltre che per il fatto che nessuno dei due paesi vuole la guerra (che l'Iran perderebbe ma gli Stati Uniti non vincerebbero), che possiamo sperare che l'incendio medio-orientale (voluto da Trump o dai suoi avversari interni?) non divampi.
Di seguito una nota di Toni Muzzioli e un articolo di Pino Arlacchi.


Questo nuovo anno si apre con un fatto gravissimo per gli equilibri internazionali. Ci riferiamo all’uccisione in un attacco aereo statunitense in territorio iracheno del generale iraniano Qasem Soleimani, importante uomo degli apparati di sicurezza e artefice della strategia di egemonia iraniana in Medio Oriente (ivi compresa la lotta alle milizie integraliste mercenarie in Siria e Iraq).
Perché questo atto inconsulto da parte degli Stati Uniti? Non è facile capirlo, dal momento che di tutto avrebbe bisogno l’attuale amministrazione, nonostante la sbruffonaggine del presidente, meno che di una guerra in Medio Oriente (e poche ore dopo l’attacco già Trump dichiarava di non voler né guerra né cambio di regime in Iran…).
E allora? È l’agenda dei neo-conservatori e della lobby filoisraeliana che hanno infiltrato l’amministrazione e che ormai si sentono le mani libere a fronte di un presidente azzoppato sotto minaccia di impeachment? È un regalo all’Arabia Saudita, che aveva subito mesi fa lo smacco del bombardamento dei propri pozzi petroliferi (forse con contributo iraniano) e che tramite i suoi servizi ha certamente dato una mano sul campo?
In ogni caso, la gravità (e la irrazionalità, verrebbe da aggiungere) dell’atto compiuto è tale che l’Iran dovrà reagire in qualche modo, con forti rischi di effetto-domino. Possiamo solo sperare a questo punto che siano gli iraniani a scegliere la misura e la moderazione, ciò che tra l’altro permetterebbe loro – come ha osservato l’ex generale Fabio Mini – di «guadagnare molti punti in ambito internazionale»
[tm]


Di seguito estratti dell'articolo di Pino Arlacchi da Il Fatto” del 4 gennaio 2020

La guerra (ibrida) che verrà 

Pino Arlacchi

Stupido è chi, secondo i manuali sul tema, procura danno a se stesso oltre che agli altri. Ed ultra-stupido è ciò che hanno fatto gli Stati Uniti assassinando il generale Soleimani. La mossa è autolesionista non tanto perché potrebbe costare a Trump la rielezione. Ma soprattutto perché si tratta di un’azione profondamente anti-americana, in grado di accelerare di vari anni, invece di ritardare, la fase terminale del dominio USA sul mondo.
Non facciamoci ingannare dall’apparente moderazione della reazione immediata dell’Iran all’assassinio di un eroe nazionale, estremamente popolare, secondo solo al padre della patria Khomeini. Il ministro degli esteri Zarif ha definito un atto di terrorismo internazionale quello che è a tutti gli effetti un atto di guerra, ed il leader supremo Khamenei si è limitato a maledire e minacciare una generica vendetta.
La scelta dell’Iran sembra essere quella di non rispondere colpo su colpo ma con una strategia calibrata, capace di sfruttare al massimo le ripercussioni interne ed internazionali dell’evento sciagurato.
L’effetto interno più rilevante della bravata trumpiana sarà, in Iran, non un cambio ma un rafforzamento di regime. Ciò comporterà la fine della componente progressista, democratica e filo-europea della politica iraniana affermatasi nelle ultime elezioni. I seguaci del presidente riformista degli anni ’90, Kathami, già in difficoltà, verranno definitivamente soverchiati dal blocco ultra-conservatore e nazionalista che ruota intorno alle forze armate, i pasdaran e gli ayatollah.
Non ci sarà bisogno di alcun colpo di stato, perché popolo ed élites dell’Iran seguiranno come un sol uomo chi prometterà loro di vendicare con la violenza il colpo al cuore appena ricevuto.
C’è bisogno a questo punto di ricordare che la conseguenza più certa della sconsideratezza americana sarà lo sgombero di ciò che resta del patto nucleare del 2015? […] Dopo Soleimani, l’Iran seppellirà ciò che rimane di quell’accordo, e si incamminerà molto probabilmente anche sulla strada dell’uscita dal TNP, il trattato di non proliferazione del 1970. Uscita che spingerà tutti i paesi della regione a fare altrettanto. Distruggendo il tabù nucleare che regge la pace mondiale da 70 anni e riempiendo il Medioriente di bombe atomiche. […]
L’unica nota debolmente positiva del dopo Soleimani è che entrambe le parti sembrano propendere verso uno scontro di tipo ibrido invece che verso una guerra convenzionale o nucleare. La guerra atomica è da escludere perché l’Iran non ha la bomba, per il momento, e non è legato da alcun trattato di difesa con una potenza nucleare.
La guerra convenzionale non è probabile perché sia gli Stati Uniti che l’Iran ne hanno ripetutamente scartato la possibilità. […] Il Pentagono, in particolare, non vuole una nuova guerra perché sa di correre un alto rischio di perderla, al pari di tutte quelle che ha fatto dopo la seconda guerra mondiale. Ma una guerra ibrida ad alta intensità come quella appena iniziata può essere altrettanto disastrosa di un confronto con navi e cannoni. Sanzioni estreme, blocchi marittimi e finanziari, terrorismo di stato e bombardamenti incapacitanti di infrastrutture cruciali per la vita associata sono purtroppo da mettere in conto. Assieme a un nuovo shock petrolifero e conseguente recessione mondiale. […] (

Testo completo qui: http://www.pinoarlacchi.it/it/rassegna-stampa/articoli/1347-perche-non-ci-sara-la-guerra-alliran