8 gennaio 2020

1989 - 2019: Non solo Berlino

di Bernardo Valli

Nell'anno in cui da ogni parte si celebra il trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, dalle colonne dell'Espresso Bernardo Valli ci ricorda l’eccidio avvenuto trent’anni fa a San Salvador di sei gesuiti, “colpevoli” di denunciare le ingiustizie. Ne pubblichiamo ampi estratti.
(Ringrazio Giuseppe Giolitti per la segnalazione)


[…] Il 16 novembre 1989 a San Salvador, capitale del più piccolo paese dell’America centrale, la guerra civile era al suo nono anno e aveva raggiunto una violenza da guerra vera. In ritardo sugli avvenimenti internazionali era ancora un conflitto da guerra fredda, nonostante in Europa fosse caduto da qualche giorno il Muro di Berlino. Il Salvador era un angolo del mondo sordo e in preda a un micidiale scontro sociale che sembrava senza fine. L’arcivescovo della capitale, Oscar Romero, era stato assassinato mentre celebrava la messa. Dalle sue prediche trapelava un certo rispetto per l’insurrezione. Bastava per essere condannato a morte.
I gesuiti dell’università José Simeón Canas erano sensibili alla teologia della liberazione, che - riassumendo - oltre a prendersi cura delle anime, e tener conto dell’aldilà dove finiranno, esortava i cristiani a impegnarsi socialmente nella vita terrena. Questo aveva portato in America latina a una complicità tra cristiani e marxisti nelle lotte politiche. Complicità che il papa d'allora, Giovanni Paolo II, aveva condannato in particolare nella sua versione latino americana, trovandosi così alleato di fatto con gli Stati Uniti, difensori a quell’epoca dei regimi più reazionari del Continente. Quando andai nel Salvador c’erano decine di consiglieri nordamericani accanto al governo che cercava di reprimere l’insurrezione.
Non è escluso che qualche consigliere yankee fosse a conoscenza, pochi giorni dopo la caduta del Muro di Berlino, della decisione presa il 15 novembre dall’alto comando delle forze armate salvadoregne. I generali volevano neutralizzare quello che pensavano fosse il cervello dell’insurrezione. Con un’improvvisa offensiva i guerriglieri avevano appena preso il controllo di una larga parte del paese e occupavano un terzo della capitale. E i generali non esitavano a usare l’artiglieria contro i quartieri in mano ai guerriglieri. La controffensiva militare fu estesa all’università, ritenuta il cervello ispiratore della rivolta.
Tra le tante pubblicazioni dei gesuiti la rivista "Estudios centroamericanos" era la più importante del paese. Trattava temi politici, sociali, economici e culturali. I militari la consideravano complice dell’insurrezione perché descriveva puntualmente le drammatiche disuguaglianze sociali. Meno dell’uno per cento della popolazione possedeva il quaranta per cento delle terre; e il sessanta per cento, i contadini che le coltivavano, neppure un metro quadrato.
Dirigeva la rivista Ignacio Ellacuria, rettore dell’università e professore di filosofia. […] Altri cinque gesuiti insegnavano all’università: Segundo Montes, Ignacio Martin-Baró, Amando Lopez, Juan Ramón Moreno e Joaquin Lopez y Lopez.
Nel primo mattino del 16 novembre i militari occuparono l’Università. Fecero uscire dai loro alloggi i gesuiti e li spinsero sul prato verde smalto del chiostro. Li obbligarono a stendersi faccia in giù, ben allineati, e li uccisero con un colpo alla nuca. Poi scaricarono sui cadaveri raffiche di mitra che trasformarono il prato in una pozza di sangue. E il sangue schizzò sui muri candidi, sulle colonne, sulle volte del chiostro. Accortisi che c’erano due testimoni della strage, la cuoca Elba Ramos e la figlia Celina, i soldati le uccisero con raffiche di mitra [...]
In un anno in cui si evocano importanti trentesimi anniversari, penso che non si debba ignorare l’assassinio dei sei gesuiti del Salvador.