8 gennaio 2020
Lo sviluppo sostenibile: un libro di Giorgio Nebbia
Il 3 settembre 1991 ho avuto l'onore di presentare al festival dell'Unità il libro di Giorgio Nebbia “Lo sviluppo sostenibile”. L'amica Mariangela Villa ne ha recentemente ritrovato la registrazione su Radio radicale. Lo ripropongo qui, convinto che il libro di Nebbia mantenga, a trent'anni dalla sua pubblicazione, tutto il suo valore.
Il libro di Giorgio Nebbia, “lo sviluppo sostenibile”, è uno degli ultimi volumi usciti per le Edizioni Cultura della pace, la collana voluta e promossa da padre Balducci.
È un libro di cui avevamo bisogno: lo sviluppo che auspica Nebbia è uno sviluppo per tutti, e non solo di una piccola frazione privilegiata di esseri umani, che sia compatibile con le risorse del nostro pianeta. D'alta pare è evidente che il tipo di crescita economica che i paesi del centro capitalista conducono in questi decenni non è sostenibile a lungo.
Nebbia sviluppa il tema in modo molto interessante. La prima parte del libro si legge come un romanzo: fa un affresco della storia dell’umanità, dalla rivoluzione neolitica che ha trasformato gli uomini da cacciatori-raccoglitori in agricoltori, allevatori, uomini capaci di modificare la natura a proprio vantaggio e quindi di aggregarsi socialmente, di costruire villaggi, città, e con ciò stesso migliorare le proprie condizioni di vita, anche se già allora con una violenza sulla natura circostante, ma una violenza modesta, che veniva riassorbita dall’ecosistema.
Nebbia prosegue questo excursus storico per i secoli successivi, traccia come l’umanità è emersa, si è sviluppata, come abbia creato ferite nella natura e cita un dato curioso: già nel ’300, a Londra, veniva vietato l’uso del carbone per i fuochi in città, perché le tecniche di combustione estremamente primitive rendevano irrespirabile l’aria. Ma è evidente che con la rivoluzione industriale gli uomini hanno una maggiore capacità di incidere, quindi una maggiore capacità di dominare la natura, di servirsene, per aumentare la ricchezza materiale della popolazione - o di una parte di essa - e contemporaneamente si avvia un processo, che da allora è sempre più celere, di degrado dell’ambiente.
Questo è il quadro storico, che affronta alcuni dei grandi incubi ecologici del momento, dalla distruzione della foresta equatoriale, al buco dell’ozono, all’effetto serra; ricorda alcune cose come il famoso DDT: per anni se ne trovarono tracce negli animali polari, arrivò al polo anche dopo che furono prese misure per abolirne il consumo. Una delle caratteristiche di tutte queste minacce è proprio il ritardo degli effetti; fra il momento in cui prendiamo coscienza di un rischio ecologico, il momento in cui si cominciano a prendere provvedimenti e il momento in cui se ne vedono gli effetti possono passare anni o anche decenni.
Vorrei fare un altro esempio di effetto ritardato, ed è il crollo della fertilità femminile, oggi al di sotto di due figli per donna che è il minimo per assicurare la riproduzione della popolazione; ciononostante la popolazione continua a crescere per l’arrivo alla maturità di classi di giovani nati negli ani del boom demografico post-bellico. Un crollo dai circa 6 figli per donna del mondo sottosviluppato negli anni '60, ai quattro degli ultimi anni, molto più rapido del crollo del tasso di fertilità nell’Europa degli ultimi secoli, avrà effetti sulla riduzione della popolazione tra trenta o quarant’anni, perché oggi continua l’aumento di popolazione.
Personalmente sono molto grato a Giorgio Nebbia che affronta il tema della limitatezza delle risorse del pianeta in modo ben lontano dal catastrofismo malthusiano, e mi riferisco in particolare al volume di Meadows del 71-72, “I limiti dello sviluppo” che con un’apparenza scientifica riproponeva le teorie per cui i poveri non devono fare figli. Nebbia fa un discorso profondamente diverso: lo sviluppo sostenibile deve sì tenere conto delle risorse, ma anche dei bisogni degli uomini, delle donne, dei bambini che popolano il mondo, sia quelli dei paesi ricchi sia soprattutto quelli del mondo sottosviluppato, che rappresenta i tre quarti della popolazione mondiale e che riceve meno di un quarto delle risorse, che è programmato per fare la fame, per consumare le armi che produciamo: nella guerra tra Iran e Irak loro hanno avuto un milione di morti e noi abbiamo un aumento del PIL. Nebbia sostituisce il PIL con il benessere nazionale lordo, un indicatore che tenga conto non solo dei beni materiali, ma delle ricchezze sottratte al pianeta per produrre questi beni e quella serie di beni immateriali che chiamiamo qualità della vita. Gli sono grato anche perché più volte ha citato gli scritti di Marx che già allora, studiando le trasformazioni in atto nel mondo, denunciava il processo selvaggio, che era sfruttamento dell’uomo e insieme sfruttamento della natura.
Nebbia conclude con alcune indicazioni per quello che potrebbe essere uno sviluppo sostenibile, che tenga insieme le esigenze dell'umanità e del pianeta.
Il grande punto interrogativo è se noi saremo capaci di raccogliere questa sfida, se saremo capaci di promuovere uno sviluppo diverso dalla pure crescita economica di rapina che il capitalismo ci ha fatto conoscere fino a oggi, perché se non saremo capaci avremo o il tracollo del pianeta o la ribellione dei poveri che questo tipo di sviluppo ha creato e non saranno allora i diecimila albanesi ma milioni e milioni, e non sarà più così facile fermarli come abbiamo fatto recentemente.
Nebbia ci ha dato un contributo serio e importante. Sta a noi farne tesoro.
La registrazione dell'intera serata a questo indirizzo: https://www.radioradicale.it/scheda/41063/lo-sviluppo-sostenibile-di-giorgio-nebbia