11 marzo 2020

Giorno del ricordo o della divisione?

Elena Basso


Il “giorno del ricordo” è stato istituito nel 2004 per commemorare la tragedia delle foibe e dell'esodo degli italiani dall'Istria. E tuttavia il legittimo riconoscimento delle sofferenze di allora è stato da subito strumentalizzato dagli avversari della pacificazione, secondo un indirizzo politico non nuovo, se già nel 1947 in un appunto al ministro degli Esteri si legge «che il mettere in cattiva luce le atrocità degli jugoslavi nei confronti degli italiani è uno degli scopi cui tendiamo perché in questo modo possono crearsi le premesse necessarie per rifiutare la consegna di italiani alla Jugoslavia». Una volta cancellati dalla memoria i crimini fascisti sul confine orientale, si è potuta riscrivere la storia.
Ripubblichiamo, parzialmente rielaborato, un breve testo scritto alcuni anni fa per la “lettera delle Acli”.

Il “giorno del ricordo” è stato istituito nel 2004 per commemorare la tragedia delle foibe e dell'esodo degli italiani dall'Istria. La scelta della data, il 10 febbraio, giorno anniversario della firma, a Parigi, nel 1947, del trattato di pace che restituiva alla Jugoslavia l'Istria e la Dalmazia, ne evidenziò da subito il carattere ambiguo. In un paese che non ha mai fatto veramente i conti con il proprio passato si è strappata una pagina di storia e se ne è fatta oggetto d'uso politico, come dimostrano molte delle manifestazioni che si tengono in questo giorno, che tra l'altro, cadendo a pochi giorni dalla giornata della memoria del 27 gennaio, sembra quasi contrapporsi ad essa.

Poco abituati a conoscere quanto accade in altri paesi, abbiamo anche ignorato che l'istituzione di questa ricorrenza ha causato seri attriti diplomatici con i nostri vicini sloveni e croati. Eppure nel 1993, su iniziativa delle rispettive diplomazie, venne costituita una commissione storico-culturale italiana e slovena che, dopo sette anni di lavoro, elaborò una relazione che toccava tutti i fatti dolorosi accaduti lungo il confine orientale, compresi la “bonifica etnica” mussoliniana a danno di sloveni e croati, la guerra con i suoi massacri, i campi di concentramento nazifascisti, la repressione comunista, le foibe e l’esodo (https://bit.ly/2Tw4PUO).
Questo documento, oltre al rigore scientifico, aveva il pregio di essere il frutto di un’interpretazione condivisa, ma le autorità italiane non ne tennero conto e solo lentamente, iniziando a riconoscere i crimini italiani nei confronti delle popolazioni istriane e dalmate, i rapporti con Slovenia e Croazia sono progressivamente migliorati. Ma nel 2019 a Basovizza, Antonio Tajani riaccese le tensioni concludendo il suo discorso con le parole «Viva Trieste, viva l’Istria e la Dalmazia italiane!», provocando le reazioni sdegnate di Slovenia e Croazia. “Per la prima volta – ha scritto il presidente sloveno Pahor a Mattarella - si cambia in peggio il contesto europeo di convivenza e di uguaglianza, all’interno del quale queste affermazioni e prese di posizione diventano particolarmente preoccupanti”. 
Quando dopo il secondo conflitto mondiale dicemmo “Mai più”, sapevamo bene cosa significavano quelle parole, e sapevamo che ripudiare la guerra vuol dire anche riconoscere le proprie responsabilità e costruire relazioni internazionali diverse, improntate al riconoscimento dei diritti e della dignità altrui.
Abbiamo smarrito il senso di questo imperativo. Fare memoria è guardare al futuro, che sia di pace e di convivenza fra i popoli.

Per approfondimenti, suggeriamo la lettura di due testi, utili anche per smascherare alcuni falsi che hanno trovato spazio in alcune trasmissioni RAI (e non solo):
https://bit.ly/2PYTOsRhttps://bit.ly/39CjNyi



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