11 marzo 2020

Chiaroscuri latinoamericani

Alfredo Somoza

Segnali diversi ci giungono quasi quotidianamente dall'America latina: relativa tranquillità in Venezuela e manifestazioni popolari in Ecuador; la liberazione di Lula e il ritorno al governo dei peronisti in Argentina, la cacciata di Morales dalla Bolivia dopo che aveva vinto le elezioni, giudicate fraudolente dall'OSA ma considerate corrette dal Washington Post. Questo articolo di Alfredo Somoza, ben noto a tutti noi per la sua collaborazione con Radio popolare, ci aiuta a inquadrare meglio i singoli avvenimenti.



Il grande cambiamento politico in America Latina degli anni 2000 è stato possibile perché con la fine della Guerra fredda la democrazia, liberatasi dai vincoli di obbedienza a Washington, divenne lo strumento del cambiamento, permettendo una vera e propria rivoluzione pacifica, uno stravolgimento degli schemi centenari di potere, aprendo le porte a una nuova classe dirigente che trent’anni prima sarebbe stata soltanto carne da macello per i militari.
La principale fortuna di questi presidenti a vario titolo progressisti, è stata quella di governare all’inizio di un ciclo favorevole per le materie prime alimentari e minerarie, sostenuto dalla domanda insaziabile della Cina, diventata in pochi anni il principale partner commerciale dei Paesi sudamericani. 
L’America latina della fine degli anni ’90 era fiaccata da lunghi anni di dittatura e da un decennio di neoliberismo straccione nei principali paesi della regione, gestito da un ceto politico per lo più finito in galera per arricchimento personale durante il saccheggio dello Stato, che è riuscito però nell’impresa di porre le condizioni per la vittoria successiva di leader che rifiutavano la narrazione neoliberista. Le sinistre andate al potere dopo l’ondata neoliberista avevano prima ancora di vincere nelle urne, vinto sul terreno dell’egemonia culturale e politica. Diritti civili, pari opportunità, redistribuzione, welfare, eliminazione della povertà, coesione sociale, riappropriazione delle risorse strategiche sono diventate le parole d’ordine vincenti, da Buenos Aires fino a Caracas. I soggetti erano però diversi e la loro provenienza pure, anche se esistevano anche punti di somiglianza. I caposaldi di queste esperienze, con diverse sfumature e accenti, sono stati il ritorno alla centralità dello Stato sulle scelte economiche, la ri-nazionalizzazione di risorse strategiche, la concessione di diritti individuali e collettivi. Ma l’inizio della fine di questo periodo, che coincideva con un ciclo espansivo per le commodities che esportano i paesi del Sud America, comincia ad essere scritto presto. I primi campanelli d’allarme sono stati le modifiche costituzionali per permettere la rielezione ad oltranza. In diversi paesi si infrange la legittimità democratica e le società si polarizzano. In altri i movimenti sociali riconquistano un ruolo decisivo davanti all’impotenza della politica e si mette seriamente in discussione il modello di stato. Il secondo problema è la rottura dell’alleanza tra movimenti sociali e leader al governo. Dal Brasile alla Bolivia, passando dall’Ecuador, comincia a declinare il momento magico in cui c’era totale identificazione tra governo e governati. Il terzo macigno è stato la corruzione, in alcuni paesi fuori controllo. Una politica che “piglia tutto“ e che non si rinnova. Una politica che nomina i controllori e gestisce miliardi provenienti dalle imprese pubbliche diventa una grande macchina di compra di consenso e di redistribuzione del maltolto. 
La cornice dentro la quale i problemi sopra descritti sono diventati prorompenti è stata la crisi economica che ha colpito il mondo a partire dal 2008 e che è arrivata in America Latina nel 2012. La novità delle ultime crisi latinoamericane è la discesa in campo dei ceti medi, recenti o storici, che chiedono alla politica più sicurezza, servizi migliori, tutela del loro status sociale. L’altra faccia di questa situazione è il protagonismo dei movimenti sociali che in alcuni casi, sono riusciti a piegare la volontà politica istituzionale. È successo così nell'Ecuador di Lenin Moreno, che anche se è vero che ha ereditato un’economia in difficoltà, ha fatto delle scelte fortemente impopolari seguendo i dettati del FMI. Una storia che si ripete. Oggi, i movimenti delle donne, degli studenti, dei minatori, dei popoli indigeni occupano spazi lasciati vuoti dalla politica partitica. Per questo motivo la risoluzione delle crisi latinoamericane è sempre più complessa. I partiti che gestiscono lo Stato spesso hanno una sovranità limitata da contropoteri molto diversi tra di essi. In America Latina, i tempi sono maturi per una nuova stagione. 

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui un tuo commento