4 novembre 2011

Risolvere i problemi dell'Italia in cinque passi

Maurizio Sabbadini 

Bacchetta magica? No, basterebbe solo la volontà di una classe dirigente semplicemente responsabile e minimamente competente. Vediamo come


Primo passo: riforma fiscale, pagare meno per pagare tutti, si può eccome!
Secondo passo: imposta sui patrimoni, giusta e digeribile.
Terzo passo: lotta alla corruzione e agli sprechi della pubblica amministrazione.
Quarto passo: riduzione e progressiva eliminazione dell'impatto sulla società di criminalità organizzata e mafie.
Quinto passo: sostegno ai redditi e alle imprese.
I primi quattro passi recupererebbero le risorse per potersi permettere, e alla grande, il quinto.
Quello che è sotto gli occhi di tutti è che chi paga le tasse, oggi, le deve pagare anche per tutti quelli che non le pagano. Per questo le aliquote sono tanto alte. L'evasione fiscale, problema annoso e vizio annoso italiano, si risolverebbe facilmente con una riforma fiscale. Il problema non è tecnico (lo affermano fior di economisti) ma politico. Sarebbe la panacea, la madre di tutte le riforme.
Pagare meno per pagare tutti. Basterebbe introdurre la possibilità di scaricare tutte le spese sulla dichiarazione dei redditi, in misura un po' superiore all'IVA richiesta dall'artigiano o dal professionista a fronte dell'emissione di una fattura. Magari cominciando da tutti gli impianti o i grandi lavori fatti negli appartamenti delle famiglie, dalle spese dentistiche o legali. E subito si innescherebbe un processo virtuoso in grado di far pagare le tasse a molti che ora evadono parzialmente o totalmente. Contestualmente le aliquote potrebbero essere abbassate in modo da rendere meno pesante il nuovo regime per chi verrebbe costretto a pagare, e per cui chi ora le paga anche per gli altri potrebbe pagare di meno. L'evasione fiscale è stimata in modi molto diversi, tra i 150 e i 300 miliardi di euro. Farne emergere anche solo il 50% (anche grazie al controbilanciamento delle riduzione delle aliquote) porterebbe enormi risorse, oltretutto costanti nel tempo. Perché ci viene detto che non si può fare, anzi, perché il tema non viene nemmeno menzionato? Perché chi evade, e sono milioni di persone, non voterebbe più i responsabili di un cambiamento del genere!
Un'imposta sul patrimonio, strutturata in modo intelligente, darebbe la possibilità di sanare almeno in parte anche l'evasione del passato. Ormai sono in molti a parlarne, persino miliardari come Della Valle o la Confindustria medesima, seppure con una ipotesi molto blanda. Si tratterebbe solo di un'operazione di giustizia, atta a riequilibrare i pesi e le responsabilità. Con i dati presenti presso le banche e presso il catasto, oltre ai dati potenzialmente reperibili sul territorio grazie ad un federalismo di controllo (agenti che conoscono i contribuenti e i loro comportamenti di vita), si potrebbero tassare molto efficacemente i patrimoni di persone fisiche e giuridiche (gran parte del patrimonio immobiliare è in mano alle società). Certo molto dipende dal tipo di patrimoniale adottata: una patrimoniale del 5% il primo anno sui redditi alti (per recuperare il pregresso mai tassato) e poi dell'1% nei successivi, su tutti i patrimoni (immobili e mobili) e anche sulle società, o una patrimoniale dello 1% solo sugli immobili delle famiglie (come vorrebbe Confindustria) e non su tutto il patrimonio sono cose molto diverse.
Pietro Modiano, presidente di Nomisma e ex banchiere ha elaborato una proposta di tassa patrimoniale sul 20% più ricco della popolazione italiana, dal gettito davvero rilevante di circa 100 miliardi!
All'obiezione più classica, di quelli che direbbero "io ho già pagato le tasse sui redditi con i quali ho acquisito le mie ricchezze" basterebbe rispondere con la possibilità -ad esempio- di scalare le tasse già pagate sui redditi che hanno permesso quelle ricchezze.
Il quadro della corruzione nella pubblica amministrazione, e più in generale degli sprechi, sino alle pericolose infiltrazioni della criminalità negli appalti, è fosco. Aggiunto al problema evasione porta quello che manca alle casse dello Stato a cifre da capogiro che si aggirano intorno ai 400 miliardi di euro all'anno.
Dovremmo toglierci definitivamente dalla testa l'idea che i conti pubblici siano in rosso per il costo dei politici, e che basti affamarli per rimettere in sesto le finanze pubbliche. Io sono il primo a pensare che un dimezzamento dei parlamentari e una riduzione degli stipendi ai politici (non solo a Montecitorio, ma in tutte le cariche pubbliche, anche locali) e dei privilegi non sia più procrastinabile, se non altro per reintrodurre un clima di fiducia nelle istituzioni, di credibilità (anche necessaria a far passare delle misure nuove ed epocali), ma i veri costi della politica sono lo spreco di risorse pubbliche causati da scelte legate al tornaconto personale, insane per la democrazia, e dalla corruzione e malgoverno che ne derivano, o semplicemente da incapacità. A fronte di quattro miliardi di costi diretti, la politica ci costa ogni anno qualcosa come 80 miliardi per la sua incapacità di spendere oculatamente il denaro pubblico, per non parlare di quel che ci costa la sua timidezza nel combattere l'evasione fiscale. E' di qui che si deve partire.
L'eliminazione, o perlomeno la riduzione del tasso elevatissimo di criminalità nel nostro paese, nato a suo tempo nelle regioni del sud ma ora ramificato, soprattutto economicamente, anche al nord, è un problema grave, irrisolto da molto tempo. Un'azione seria con tempi rapidi nei confronti di chi commette reati e di chi, nella politica, li favorisce otterrebbe grandi risultati. Occorrerebbe "solo" applicare le leggi esistenti e potenziare (più in termini di organizzazione che in termini di numero di addetti) magistratura e forze dell'ordine (invece di togliere risorse).
Ma il problema non è solo di polizia, di perseguimento di crimini. E' un problema che trova le sue radici nella cultura della gente, nelle difficoltà economiche giovanili, nel disagio di chi non ha prospettive di un lavoro onesto. Certo, le mele marce ci saranno sempre, e questo è un problema di polizia, ma uno stato sociale equo e una distribuzione equa delle ricchezze, garanzie di lavoro, opportunità di studio per ogni fascia sociale e paracaduti sociali, giustizia uguale per tutti quanto inflessibile, e garanzie di libertà sono la premessa indispensabile per la riduzione e la messa al bando crimine. Quindi le soluzioni che andiamo ad illustrare di seguito, non ultimo il reddito minimo garantito, possono essere utili anche a bonificare nel lungo periodo il terreno nel quale la criminalità prospera.
Il sostegno alle imprese può prendere varie forme: ad esempio pagare i debiti verso le imprese fornitrici alla scadenza, e non con mesi o anni di ritardo; fornire servizi agevolati ed efficienti, semplificare le procedure, adeguare i trasporti, incentivare gli investimenti e la ricerca... Per favorire l'occupazione si potrebbe pensare a sgravi fiscali per chi assume giovani e anziani (aumentare l'età pensionabile in un paese dove già prima dei cinquant'anni non vieni considerato da nessuna azienda è criminale). Vi sarebbero misure da prendere per rendere meno appetibile alle nostre imprese l'andare a produrre i loro beni all'estero nei paesi dove il costo del lavoro è molto minore del nostro. Invece di comprimere il salario dei lavoratori basterebbe detassare il lavoro dipendente: oggi lo Stato è un predatore che si prende in totale (tra tassazione del reddito del dipendente e tassazione dell'impresa su quello stesso reddito) una cifra pari a quella che arriva netta al lavoratore. 
Indispensabile infine un intervento sul welfare: non licenziamenti facili o riduzione del monte pensioni: da tempo ormai l'INPS è in attivo, i contributi pagati dai lavoratori sono superiori alle spese per pensioni. Piuttosto interventi a sostegno di tutte le fasce in difficoltà o meno fortunate (chi è portatore di handicap, chi sopporta pesi enormi per accudire chi è malato, chi è senza lavoro, ecc.). In relazione al sostegno ai disoccupati ritengo si debba abbandonare l'ammortizzatore sociale che privilegia il solo lavoro a tempo indeterminato (cassa integrazione, mobilità) e introdurre il concetto di reddito minimo garantito.
Questo non è un "incentivo ai fannulloni", ma uno strumento che non solo protegge il cittadino nei momenti di difficoltà, ma consente anche l'auspicata "flessibilità" nel mercato del lavoro, specie se accompagnato, come in quasi tutti i paesi europei, da corsi di aggiornamento professionale. E' uno strumento già previsto nel 1992 dalle raccomandazioni della Comunità europea come un elemento qualificante del modello di Europa sociale, e adottato in tutti i paesi europei, con la sola eccezione di Italia e Grecia. La nostra situazione è imparagonabile a quella inglese, francese, tedesca, olandese: abbiamo un maggiore divario tra redditi, un maggior numero di disoccupati e precari, un'assenza totale di reddito minimo, affitti delle case alle stelle; l'eurostat dice che la nostra condizione è tra le peggiori in Europa.
Il costo non sarebbe eccessivo: considerando due milioni di disoccupati e una cifra di 400 euro mensili otteniamo una cifra inferiore ai dieci miliardi di euro, poco più di un terzo della spesa militare (circa 24 miliardi nel 2011): pochissimo per ridare speranza e certezze ai giovani. 
 

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