4 novembre 2011

Come evitare il suicidio dell'Europa

Riccardo Bellofiore, Jan Toporowski 

Resistere alle politiche di austerità è sacrosanto, ma quali sarebbero le conseguenze di un default? 


[... ] Il default non dovrebbe essere un problema. Parte della sinistra ne pare convinta e propugna, a partire dalla Grecia, il diritto al default. Qualcuno, anzi, suggerisce di uscire dall'euro per guadagnare competitività. Bisognerebbe chiedersi cosa succederebbe al sistema bancario se ciò che si desidera si verificasse. Un default dichiarato lo farebbe crollare. In Grecia, le banche hanno sostenuto il debito pubblico, rifinanziandosi con la BCE: meccanismo indiretto ma efficace, disegnato perversamente. Con il default il governo si rifiuterebbe di pagare le proprie banche, dovendo tornare a chiedergli prestiti.
Per le banche svanirebbe il valore dei titoli di stato che detengono, rendendole insolventi. L'uscita dall'euro aggraverebbe le cose, attivando una fuga dei depositi in euro, mentre il valore delle passività nella nuova valuta schizzerebbe verso l'alto. Dietro la parola d'ordine del diritto all'insolvenza stanno ragioni forti: resistere alle politiche di austerità; contestare l'illegittimità di parte della spesa pubblica, e le condizioni imposte dalla finanza per finanziarla. La campagna per un audit sul debito europeo è giusta. Ma l'idea che l'insolvenza sia la bacchetta magica è fallace.
Vladimiro Giacché sul Fatto quotidiano ha ricordato due cose. Al debito pubblico corrisponde ricchezza privata, detenuta da investitori, banche, compagnie assicurative, fondi italiani, per circa il 56%: lavoratori e ceto medio verrebbero colpiti duramente. Inoltre, praticare un default selettivo è di difficile praticabilità, potendosi selezionare le passività di cui negare il pagamento, non i creditori.
L'attesa di un default dei paesi più in difficoltà e di una implosione dell'intera area rendono operante una tenaglia ben descritta da Pitagora (sul manifesto del 13 ottobre). Sul piano globale: i fondi fuggono dall'euro verso il dollaro, con gli Stati Uniti che evitano per adesso la discesa nel baratro. Dentro l'area dell'euro: si fugge dai titoli di stato della periferia verso quelli degli stati forti. Il depauperamento di famiglie e imprese aggraverebbe la deflazione da debiti nelle aree in difficoltà, portando a una contrazione della domanda (interna) e lasciando l'onere del traino sulle spalle di una (ipotetica) domanda estera.
[... ] A seguito della paralisi del sistema bancario, dell'esplosione del debito verso l'estero, dell'esclusione dal credito internazionale e del razionamento di quello interno, default più svalutazione aumenterebbe il peso del riaggiustamento sul potere d'acquisto dei lavoratori. E' vero che nel caso italiano (secondo esportatore di manufatti in Europa) un balzo verso l'alto della competitività non è una chimera. Il recupero dei profitti non sarebbe però necessariamente legato a un miglioramento tecnico-organizzativo, e seguirebbe (in un paese dipendente dall'estero per materie prime e alta tecnologia) un forte aumento dei prezzi delle importazioni.

(Il Manifesto, 1° novembre 2011) 

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