4 novembre 2011

Non pagare il debito: come concretamente?

Luigi Vinci 

Le proposte per ridurre il debito e farlo pagare a chi ne ha i mezzi – e che spesso si è arricchito evadendo le tasse – non mancano, ma solo una forte mobilitazione popolare può raggiungere il risultato.
Alcune osservazioni sul movimento degli indignati e sulla concretezza della parola d'ordine aggregante del non pagare il debito


[... ] Il tema del non pagamento del debito pubblico richiede intanto che si capisca se significa che il debito non deve essere pagato ai portatori dei suoi titoli oppure che non deve essere pagato dai giovani, dai lavoratori, dai pensionati, dalle donne, insomma dalla grande maggioranza della popolazione. Non è la stessa cosa.
Queste due alternative sono di scuola: in concreto ne esiste anche una terza, una riduzione rilevante del debito da pagare ai portatori dei suoi titoli, e farlo pagare a chi può. Personalmente penso che la “giusta linea” sia in questa terza alternativa. 
La prima alternativa (il debito non deve essere pagato, punto) sostanzialmente manca di condizioni di fattibilità, e se ne esistessero sarebbe pericolosissima dal punto di vista delle convenienze materiali della maggioranza della popolazione. Intanto richiederebbe condizioni di prefallimento dello stato, dalle quali l'Italia è lontanissima semplicemente perché il fallimento dello stato significherebbe che non esistono più né patrimonio pubblico né patrimonio privato né, dentro a quest'ultimo, risparmio privato da eventualmente rastrellare. Ma il risparmio privato italiano è il secondo in Europa, davanti c'è solo quello tedesco, e sia il patrimonio pubblico che quello privato sono giganteschi. In questa sede, decisiva, l’Italia è distante anni luce dalla Grecia: quel paese è davvero al collasso. Poi occorre ricordare come quasi metà del debito pubblico italiano sia in mano non semplicemente a banche italiane ma in gran parte ai risparmiatori italiani, la cui grande massa è data da lavoratori e da pensionati (sono i loro risparmi sui redditi di lavoro). In terzo luogo non è che quei paesi dell'UE (in primo luogo, Francia e Germania) nelle cui banche sono i titoli pubblici italiani (quasi un'altra metà del debito pubblico italiano) se ne starebbero a guardare, ma la farebbero pagare all'Italia (ovvero alla sua popolazione) in modo devastante.
Ancora, dichiarare che non si intende pagare il debito significa uscire dall'euro e tornare alla lira: quindi subire un'inflazione a due cifre, la distruzione dei risparmi e delle pensioni, un nuovo indebitamento che balza alle stelle, sulla scia del pagamento delle importazioni (la nostra economia dipende dalle importazioni in fatto di energia e cibo). E' anche dubbio, infine, che questa prima alternativa possa essere praticata grazie a un'autonoma decisione italiana: non bisogna dimenticare che l'Italia non ha sovranità monetaria, essa è “spostata” sull'UE.
Questo significa che le riserve italiane in oro e valuta (quelle in oro sono le quarte al mondo) sono controllate e in ultima istanza gestite dalla Banca Centrale Europea (perciò il loro utilizzo deve passare per l'ok della BCE): e un loro congelamento sarebbe una catastrofe per la nostra economia (che, come già scritto, dipende dalle importazioni di risorse vitali). Quindi il fallimento dello stato o il non pagamento del debito non potrebbe non essere contrattato a livello europeo. Sicché una sinistra seria, cioè di effettivo ausilio ai movimenti di lotta, dovrebbe non solo guardarsi dal chiacchierare, ma dovrebbe impegnarsi, dato il frangente sociale e politico, oltre che economico, del nostro paese, assolutamente drammatico, nel proporre al popolo, e prima di tutto ai lavoratori e all'universo giovanile, un itinerario al tempo stesso realistico e audace per la sua salvezza. Così dichiarò Gramsci ai fascisti che alla Camera dei Deputati lo sbeffeggiavano e interrompevano, che loro, quegli antenati dei berlusconiani e dei leghisti, culo e camicia con i rapinatori del tempo, avrebbero portato l'Italia alla rovina, e sarebbe toccato ai comunisti di salvarla. Oggi sostanzialmente vale la stessa cosa.
La seconda alternativa significa, molto semplicemente, che a pagare il debito debba essere la ricchezza accumulata dalla grande borghesia, sia essa in immobili, titoli sul debito pubblico, altre proprietà. Inoltre che questo non debba essere finto, cioè ridursi a una patrimoniale una tantum, e neppure, ancora, a un prelievo fiscale di una qualche percentuale a una cifra una volta l'anno. Il debito pubblico dovrebbe invece essere accorpato alla proprietà patrimoniale di ogni individuo di questa fetta di società in una percentuale data (il 20%, il 30%) rispetto all'entità del patrimonio stesso, venendo dunque a integrarne, o a costituirne ex novo, la passività.
Non si dimentichi che è in questa sede della società che si annida la totalità della grande evasione fiscale: l'operazione sarebbe anche un modo per cominciare finalmente a colpire anche questa forma di furto allo stato e, per esso, alla maggioranza della popolazione. In questo modo gran parte del debito pubblico semplicemente scomparirebbe. Tra l'altro nessuno ne soffrirebbe: i ricchi dovrebbero solo comperarsi qualche villa, o qualche “barca”, e qualche SUV di meno, e molti di loro non dovrebbero neppure rinunciarvi.
[... ] La terza alternativa (comprendente la riduzione del debito “dovuto”) risiede in un'operazione che la mobilitazione greca contro il massacro del suo popolo e del suo paese decretato dal governo di destra tedesco a dal versante dei gestori dell'UE sta ponendo da qualche tempo al centro della sua sua denuncia e delle sue rivendicazioni: si tratta di quegli “audit”, (in sostanza, di quella ricerca e di quell'inchiesta di massa) che vanno a individuare personaggi e proprietari o top management di imprese che nella speculazione prima e nel corso della crisi poi hanno solo continuato ad arricchirsi, in modo da farne i bersagli speciali del prelievo, non solo fiscale ma di parte più o meno congrua dei loro patrimoni (anzi nel caso, tutt'altro che raro, di illegalità, portandogli via tutto e mettendoli in galera). Giova sottolineare come si tratti di un'iniziativa condotta dalle forze tradizionalmente o recentemente organizzate del movimento in corso: non solo le autorità istituzionali nulla stanno facendo in questo senso, il perché si capisce da sé, ma anche se lo volessero non sarebbero attrezzate a farlo; quindi occorre sapere che per fare in Italia gli “audit” necessita arrivare a un livello qualitativo greco della mobilitazione sociale. Si può, ma non è facilissimo.

(Lavori in corso, n.ro 249)

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