12 settembre 2011

Bin Laden: i morti non parlano


Una riflessione sulla morte politica di Bin Laden nell'interessante e condivisibile analisi di Mazin Qumsiyeh, biologo, docente di genetica alle università di Betlemme e di Birzeit. Partecipa attivamente alle lotte popolari non violente contro la costruzione del Muro dell'apartheid


Non so cosa avete pensato voi quando è giunta la notizia dell'uccisione di Bin Laden, ma a me è venuto in mente un episodio di molti anni fa. Era il 1993 e mi trovavo in Brasile accompagnando alcuni magistrati italiani invitati in quel paese a parlare di Mani Pulite. A Bahía, città non meno violenta di Rio, mi colpì la lettura di un rapporto sugli arresti di narcotrafficanti negli ultimi anni: su non so quante centinaia di arresti ordinati dalle autorità solo pochissimi erano stati eseguiti, in qualche anno nessuno. Gli altri o erano fuggiti, o, molto più numerosi, erano stati uccisi "in un conflitto a fuoco con la polizia" o "durante un tentativo di fuga" o i poliziotti avevano sparato "sentendosi minacciati". La conclusione del rapporto (scritto, se ricordo bene, non da un magistrato, ma da una coraggiosa funzionaria di polizia) era lapidaria: "I morti non parlano". 
Naturalmente questo era il Brasile, molti anni prima dell'arrivo di Lula alla presidenza, e nulla ha a che vedere con un paese come gli Stati Uniti, che esporta la democrazia in tutto il mondo. E' proprio così? Proviamo a parlare non di sospetti narcotrafficanti ma di sospetti terroristi, discepoli di Bin Laden. In assenza di informazioni ufficiali, mai fornite dal Pentagono, mi rifaccio ai dati sui pericolosi terroristi incarcerati a Guantánamo forniti dal New York Times, da Wikipedia, da Human Rights Watch. Degli oltre 770 detenuti trasferiti a Guantánamo dal 2002 ad oggi la grande maggioranza è stata rilasciata alla chetichella dopo anni di permanenza, altri sono stati trasferiti al paese di origine, dove molti sono stati liberati con o senza processo, tre in tutto sono stati condannati da tribunali militari per colpe minori, nessuno è stato portato davanti a un tribunale con l'accusa di terrorismo.
Ma torniamo a Bin Laden. Di seguito riproduco un breve scritto dell'attivista palestinese Mazin Qumsieh, che sostiene che Bin Laden è politicamente morto con l'inizio della "primavera araba". Sarebbe difficile dargli torto, ma io credo che la sua sconfitta era stata segnata già prima, e non certo ad opera dei servizi segreti o dei militari americani o pakistani, ma dalla coscienza politica dei giovani dei paesi musulmani, che al grande forum sociale mondiale di Mumbai, cinque anni or sono, esclusero la partecipazione di tutti i gruppi fondamentalisti.


C'è un delirio nei mezzi di informazione occidentali attorno alla cattura di Osama Bin Laden, il vecchio alleato divenuto nemico. I giornali israeliani riferiscono che secondo importanti funzionari americani gli ordini erano non di catturare Bin Laden vivo, ma di ucciderlo. Ma questa è una cosa che tutti sapevano, perché sarebbe stato un bel pasticcio se i soldati americani l'avessero catturato vivo; avrebbe persino potuto rivelare i suoi contatti con lo spionaggio pakistano e con quello americano. 
La maggior parte della gente ha vissuto l'avvenimento con apatia. Anche i mercati azionari non hanno reagito come gli “esperti” avevano previsto. Presto il dollaro riprenderà la sua discesa. 
I militari americani possono sentirsi soddisfatti, e i pakistani possono sentire che la sovranità del loro paese è stata umiliata una volta di più. Alcuni possono scegliere di vendicarsi con la violenza, offrendo così ai falchi la scusa per proseguire nella loro politica. Dopo il collasso dell'Unione Sovietica il complesso militare-industriale aveva bisogno di un nuovo nemico per giustificarsi, e per loro è stato certamente molto conveniente che proprio in quel momento si materializzasse il "terrorismo islamico". Certo, ci sono dei Musulmani fanatici (come anche dei Cristiani, degli Ebrei o degli Induisti) che hanno voglia di uccidere. Non era necessario che gli Stati Uniti invadessero l'Iraq o l'Afghanistan per creare altri fanatici. Ma un'analisi più attenta mostra che le cose cambieranno. 
Bin Laden è stato ucciso tempo fa, non fisicamente ma idealmente! E' stato quando la primavera araba ha mostrato che non è necessaria la violenza per cambiare le nostre società e rimuovere i dittatori sostenuti dagli Stati Uniti e da Israele. L'assassinio di Bin Laden e il terrorismo continuo praticato dagli Stati Uniti e da Israele tentano di inculcare l'idea che l'unica risposta possibile è la violenza. La repressione brutale dei manifestanti siriani, yemeniti, sauditi e bahraini, così come i continui attacchi militari americani in vari paesi del mondo fanno parte di questa insensatezza umana. Essi rappresentano quell'ala della nostra società globale che crede che la risposta sia la violenza: lo scenario in cui c'è chi vince e chi perde. Le idee piene di speranza della resistenza popolare, la libertà, la democrazia, la fine dello sfruttamento, hanno sfidato con successo le nozioni di "scontro di civiltà" e di "la ragione è dalla parte del più forte". Restiamo quindi fiduciosi, malgrado tutte le false notizie e le false bandiere, il milione di iracheni e i cinquantamila afghani uccisi in queste guerre. 
Qui, in Palestina, la grande maggioranza della gente a malapena accenna a Bin Laden, ma va avanti con la propria vita, cercando il modo di procurarsi il pane sotto l'occupazione colonialista. Prendiamo ad esempio il villaggio di Izbet Al-Tabib, piccolo villaggio di 247 abitanti (il 60% dei quali sono bambini): hanno risposto alla decisione israeliana di sequestrare la loro terra innalzando una tenda sulla terra minacciata e tentando di far conoscere la loro storia. I militari israeliani sono intervenuti attaccando i contadini ed i volontari stranieri che erano con loro, arrestandone tre e ferendo in modo grave un'anziana signora americana. Nella notte più di duecento militari israeliani hanno invaso il villaggio terrorizzando gli abitanti nel tentativo di fermare la crescente resistenza popolare. 

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