3 agosto 2021

Perché stiamo con Cuba

Le recenti manifestazioni antigovernative a Cuba hanno indotto alcuni “autorevoli commentatori” nostrani a chiedere a noi, amici di Cuba, di “aprire gli occhi” e “stare dalla parte del popolo cubano”. È esattamente quello che cerchiamo di fare. Ignorando sia la stucchevole propaganda governativa che le indocumentate testimonianze di improvvisati corrispondenti, ci affideremo alle dichiarazioni di due presidenti americani e ai numeri forniti dalla CIA e dall'ONU per capire qual è la posta in gioco a Cuba e da che parte stare.


Le recenti massicce proteste a Cuba hanno riacceso i riflettori sull’isola. È indiscutibile che la scarsità di cibo e di medicinali, le interruzioni della rete elettrica e la recrudescenza della pandemia causino gravi sofferenze alla popolazione. Meno chiare sono le motivazioni politiche che hanno spinto la gente in piazza. Nelle proteste dell’11 luglio i manifestanti chiedevano un cambio di regime, convinti che l’abbandono delle politiche socialiste e l’apertura al “libero mercato” porterebbero un maggiore sviluppo economico e più libertà. Insieme a loro cittadini animati da un generico malcontento che in alcuni casi si è espresso con saccheggi e vandalismi. Di segno contrario le manifestazioni dei giorni successivi, con i sostenitori della rivoluzione che imputano al “bloqueo” la causa delle loro difficoltà.
Subito i maggiori organi di informazione occidentali hanno esaltato le manifestazioni antigovernative e denigrato quelle a difesa dell’indipendenza cubana di cui sarebbe promotore il governo stesso.
Difficile capire quanto stia realmente accadendo perché, si sa, in guerra la prima vittima è l’informazione, e infatti è certo che circolino notizie e immagini false o manipolate, così come non è un mistero che Washington finanzi direttamente una serie di media antirivoluzionari.*
A questo proposito, si è giustamente criticata l’interruzione della rete Internet attuata dal governo cubano, ma pochi ricordano che fino a pochi anni fa la connessione era quasi impossibile per il divieto USA di collegare l’isola con i cavi necessari dalla Florida. C’era però chi, come la blogger Yaoni Sanchez, disponeva di una connessione satellitare che utilizzava per diffondere le sue “notizie”, e ancora oggi le informazioni che arrivano da questa screditata blogger vengono rilanciate dai media nostrani.
I nemici di Cuba sostengono che la responsabilità delle carenze sia tutta delle politiche governative; ciò nonostante insistono per un inasprimento dell’embargo, ben sapendo che in realtà è proprio questo il principale ostacolo allo sviluppo economico del paese. 
Da sessant’anni gli Stati Uniti applicano sanzioni sempre più crudeli, in spregio alla legalità internazionale. Oggi nessun prodotto che abbia più del 10% di componenti USA può essere esportato a Cuba e addirittura gli Stati Uniti hanno esteso la propria giurisdizione ad aziende o istituti finanziari non statunitensi con il pretesto che utilizzano dollari per le loro transazioni. Nessuno può liberamente commerciare con Cuba se non vuole incorrere in ritorsioni. Il presidente americano Woodrow Wilson, noto per la sua politica imperialista in America centrale, aveva definito le sanzioni un rimedio “pacifico, silenzioso e mortale”.
Questo “rimedio mortale” è stato condannato 29 volte dalle Nazioni Unite, l’ultima lo scorso giugno, con la sola opposizione di Israele e Stati Uniti, che affermano che le sanzioni “sono cruciali per far avanzare democrazia e diritti umani”.
È interessante rileggere quanto disse John Kennedy a una cena democratica in Ohio nel 1960. (https://www.presidency.ucsb.edu/documents/speech-senator-john-f-kennedy-cincinnati-ohio-democratic-dinner). 
“La storia della trasformazione di Cuba da alleato amico a base comunista è - in larga misura - la storia di un governo di Washington a cui mancavano l’immaginazione e la compassione per comprendere i bisogni del popolo cubano - che mancava della leadership e del vigore per andare avanti per soddisfare quei bisogni – e a cui mancavano la lungimiranza e la visione per vedere gli inevitabili risultati dei propri fallimenti.
Invece di tendere una mano di amicizia al popolo disperato di Cuba, quasi tutto il nostro aiuto è stato sotto forma di assistenza armata - assistenza che ha semplicemente rafforzato la dittatura di Batista - assistenza che non è riuscita a far progredire il benessere economico del popolo cubano - assistenza che ha permesso a Castro e ai comunisti di incoraggiare la crescente convinzione che l’America fosse indifferente alle aspirazioni cubane per una vita dignitosa.
In secondo luogo, in un certo modo per inimicarsi il popolo cubano, abbiamo usato l’influenza del nostro governo per promuovere gli interessi e aumentare i profitti delle compagnie private americane, che dominavano l’economia dell’isola. 
Cominciarono a sentire che eravamo più interessati a mantenere Batista che a mantenere la libertà - che eravamo più interessati a proteggere i nostri investimenti che a proteggere la loro libertà - che volevamo condurre una crociata contro il comunismo all’estero ma non contro la tirannia a casa. Quindi, sono state le nostre politiche, non quelle di Castro, che hanno cominciato a metterci contro i nostri ex buoni vicini.
Perché non abbiamo solo sostenuto una dittatura a Cuba, abbiamo sostenuto dittatori in Venezuela, Argentina, Colombia, Paraguay e Repubblica Dominicana.
Se continuiamo a ripetere i nostri errori passati - se continuiamo a dedicare maggiori sforzi al sostegno dei dittatori che alla lotta contro la povertà e la fame - allora cresce il malcontento, che fornirà un terreno fertile per Castro e i suoi amici comunisti.”
Tuttavia fu proprio Kennedy a inasprire le sanzioni con cui Cuba convive da allora, superando anche periodi durissimi, seguiti alla fine dell’aiuto sovietico dopo il crollo dell’URSS, più recentemente con il forte calo delle importazioni di petrolio venezuelano e l'ancor più drastica riduzione, causa Covid, nell'afflusso di turisti e dei loro dollari.
Nonostante queste difficili condizioni, Cuba ha sviluppato una politica sociale che la vede ai primi posti nell’America latina e non solo.
Al 105° posto nel mondo per reddito pro capite, è al 70° posto per indice di sviluppo umano, un risultato fra i migliori di tutta l’America latina, poco lontano dal Costarica (62°), il primo paese al mondo ad aver scelto di abolire l’esercito per poter investire in sanità e istruzione, a cui dedica rispettivamente il 7,6% il 7% del PIL. Meno di Cuba, che è al primo posto nel mondo per spese per l’istruzione in relazione al PIL (12,8%, USA 5%, Italia 4%) e per numero di medici in rapporto alla popolazione (8,42‰, USA 2,61‰, Italia 3,98‰); Cuba è al primo posto di tutta l’America per mortalità infantile (4,19 per mille nati vivi) superando gli Stati Uniti (5,22), e sorprendentemente persino il Canada (4,77). (dati CIA, https://www.cia.gov/the-world-factbook/countries/)
Anche il livello di corruzione statale, secondo Transparency international, è fra i più bassi del continente.

Quella che è la realtà di Cuba oggi, tra difficoltà economiche e avanzate politiche sociali è plasticamente descritta dal teologo della liberazione frei Betto nella sua appassionata difesa di Cuba di cui riportiamo alcuni stralci: “Se sei ricco in Brasile e vai a vivere a Cuba, conoscerai l’inferno. Non potrai cambiare auto ogni anno, acquistare abiti firmati, viaggiare spesso in vacanza all’estero. E, soprattutto, non potrai sfruttare il lavoro degli altri, tenere nell’ignoranza i dipendenti. Se appartieni alla classe media, preparati a vivere il purgatorio. Nonostante Cuba non sia più un’azienda statale, la burocrazia persiste, bisogna avere pazienza con le code dei mercati, molti prodotti disponibili questo mese potrebbero non esserlo il mese prossimo, a causa dell’incongruenza delle importazioni.
Tuttavia, se sei un lavoratore salariato, povero, senzatetto o senza terra, preparati a incontrare il paradiso. La Rivoluzione ti garantirà i tre diritti umani fondamentali: il cibo, la salute e l’istruzione, nonché l’alloggio e il lavoro. La tua famiglia avrà la scuola e l’assistenza sanitaria, compresi gli interventi chirurgici complessi, totalmente gratuiti, come dovere dello Stato e diritto del cittadino”. (https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-perch_solidarizzo_con_la_rivoluzione_cubana_di_frei_betto/39602_42338/)
Chiunque conosca anche solo superficialmente l’America latina e in particolar modo l’America centrale, sa cosa significhino le baraccopoli, la miseria, la violenza, la repressione, lo sfruttamento, le malattie, le sparizioni, le elezioni truccate, le uccisioni di sindacalisti e di leader popolari; è però sufficiente garantire gli interessi delle multinazionali perché gli occhi, le orecchie e il cuore rimangano ben chiusi.
I nostri progressisti apprezzano la libertà di parola, le elezioni multipartitiche e i sindacati indipendenti e non si può negare che a Cuba queste cose manchino, ma è solo il popolo di Cuba che può decidere cosa volere e come ottenerlo. 
È ingenuo pensare che una qualsiasi ulteriore ingerenza possa migliorare le condizioni di vita dei cubani, che rischiano viceversa di perdere le importanti conquiste sociali costruite con grande determinazione.
Non è immaginabile che si possano imporre altre sanzioni, e dubitiamo che gli USA vogliano lanciarsi in un’altra avventura militare. Scrive Ben Burgis su Jacobin, l’autorevole rivista della sinistra americana: “Che qualcuno possa credere che intervenire a Cuba migliorerebbe le cose è un’agghiacciante testimonianza del potere accecante dell’ideologia”. (https://www.jacobinmag.com/2021/07/us-embargo-cuba-protests-sanctions-intervention). “Un serio tentativo di rovesciare il governo cubano per imporre un’alternativa favorevole agli Stati Uniti potrebbe finire per sembrare meno simile ai brutti interventi americani - ma relativamente a breve termine - ad Haiti e più simile alla guerra in Vietnam. Il governo di Cuba è salito al potere attraverso una rivoluzione popolare che ha ancora una base significativa di appoggio. È assurdo pensare che gli Stati Uniti possano rovesciare quel governo senza che un gran numero di persone prendano le armi in risposta.
Se il governo degli Stati Uniti vuole davvero aiutare il popolo cubano, c’è un modo facile e ovvio: porre fine alle sanzioni. Ognuna delle carenze di cui parlano i manifestanti è stata almeno aggravata dall’embargo statunitense. La risposta non è più intervento. È meno.”




 

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui un tuo commento