3 agosto 2021

La storia rimossa dei genocidi africani

Solo ultimamente la sanguinosa storia della colonizzazione europea in Africa inizia a essere ammessa. Francia e Germania, seppur con qualche reticenza, riconoscono le loro responsabilità in Ruanda e in Namibia. È ora che anche l’Italia esca dal silenzio


Lo scorso maggio Emmanuel Macron ha riconosciuto le responsabilità della Francia nel massacro ruandese. Questa ammissione arriva dopo che la commissione incaricata di far luce sul coinvolgimento della Francia nel genocidio ha concluso che “la Francia tra il 1990 e il 1994 sostenne un regime che incoraggiava i massacri razzisti; è rimasta cieca di fronte alla preparazione del genocidio”. È indubbio che questa dichiarazione sia stata dettata da opportunismo politico al fine di riprendere relazioni con il Ruanda, ma rimane in ogni caso un atto di portata storica.
Ancora più significativo il gesto della Germania, che ha chiesto perdono ai discendenti delle popolazioni Herero e Nama sterminate fra il 1900 e il 1904 in Namibia, parlando esplicitamente di genocidio. Già nel 2004 i tedeschi avevano accettato la loro “responsabilità storica e morale”, dichiarazioni ritenute insufficienti dalla Namibia e oggi, dopo anni di trattative diplomatiche fra i due stati, oltre a riconoscere il genocidio, la Germania si è impegnata a versare più di un miliardo di dollari per programmi di sviluppo per gli Herero e i Nama. L’accordo però non è stato accettato dalle popolazioni interessate, che hanno lamentato di non essere state coinvolte nei negoziati.
La colonizzazione tedesca, fra il 1884 e il 1915, fu una delle più spietate in Africa. Le popolazioni Herero e Nama, che si opposero fieramente all'accaparramento delle terre da parte dei coloni tedeschi, furono massacrate: decine di migliaia di persone furono uccise o cacciate nel deserto a morire di stenti, i pozzi avvelenati. Gli storici ritengono che il genocidio di Herero e Nama abbia prefigurato l’Olocausto, con esperimenti medici tesi a dimostrare l’inferiorità della razza. Eugen Fischer, uno degli autori di questi esperimenti e che fu insegnante di medicina di Mengele, a conclusione dei suoi studi caldeggiò il genocidio delle “razze inferiori”.
Il processo di revisione delle colpe del passato è certamente un passo importante, ma non cancella le terribili responsabilità delle politiche coloniali e anche post-coloniali. 
L’Italia non ha mai compiuto nemmeno questo primo passo, se si eccettuano le scuse di Scalfaro nel 1997 con la restituzione della stele di Axum all’Etiopia, e di Berlusconi alla Libia nel 2008 con l’impegno a versare alla Libia 5 miliardi di dollari in 25 anni. Ufficialmente nessun “risarcimento”, ma un accordo di amicizia e cooperazione che avrebbe favorito le aziende italiane incaricate di realizzare infrastrutture e l’impegno a collaborare nella lotta all’emigrazione clandestina. (https://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=16PDL0017390#PD)
Nel trattato si esprime “rammarico per le sofferenze arrecate”, ma nessun cenno alle centomila vittime, alle atrocità, alle marce forzate nel deserto verso i campi di concentramento, tanto che la colonizzazione italiana della Libia è considerata fra le più sanguinose. Altrettanto drammatica è la colonizzazione dell’Etiopia, dove per la prima volta l’aviazione e l’artiglieria vengono autorizzate a utilizzare armi chimiche su larga scala. Furono incendiati villaggi e chiese; nemmeno i monaci cristiani del monastero di Debra Libanos, la comunità monastica più importante del paese, furono risparmiati: accusati di proteggere i resistenti, furono tutti fucilati.
Si stima che le vittime nelle colonie italiane in Africa (Libia, Etiopia, Eritrea e Somalia) furono almeno mezzo milione.
Oggi, che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono costretti a fare i conti con il proprio passato schiavista, anche l’Italia dovrebbe uscire dal silenzio. Sarebbe un buon antidoto contro il razzismo.

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