3 agosto 2021

Essere “zingari” a Milano, oggi

Ernesto Rossi

Vent’anni fa moriva Carlo Cuomo, dirigente comunista, uomo di grande cultura e di grande umanità, consigliere e assessore comunale, fondatore, animatore e primo presidente dell’Opera Nomadi. Per il ventennale Ernesto Rossi, attuale presidente dell’associazione “Apertamente”, che di Cuomo è stato a lungo amico e collaboratore, ci ha fatto dono di una testimonianza di cui riproduciamo ampi estratti, dopo aver tolto i passi più specificamente rivolti alla persona e all’impegno di Cuomo e ai suoi rapporti con l’Autore.


Essere ‘zingari’ a Milano –e in Italia- è difficile. Mi perdoni il mio amico Santino Spinelli, che diventa rosso solo a sentire la parola. D’altronde, le parole sono innocenti. Sono la violenza e l’infamia di cui le carichiamo a renderle impronunciabili. Sotto i nostri cieli europei, che coprono antiche e nuove civiltà, essere rom o sinti (e manouche, kalè, romanichals, per dire tutte le principali partizioni di questi variegati popoli-e al diavolo le etnie!) sì, è davvero difficile.
Per non dilungarmi faccio un solo esempio. Per avere la certezza del fatto che Sir Charles Spencer Chaplin, genio multiforme, uomo celeberrimo e divenuto ricco per la sua arte, fosse uno ‘zingaro’, un romanichal, bisognò attendere che, dopo la sua morte, il figlio Michael forzasse uno scrittoio, trovando una lettera che lo certificava.
Perché? perché non solo il povero rom della strada o dei campi più o meno municipali di Milano deve conservare con tanto timore il segreto del suo essere? Io non so rispondere, se non con vaghe ipotesi che vi risparmio, ma vi butto il dubbio, sperando che vi entri dentro. E che ognuno di voi, lì dove agisce e spiega, lo faccia suo.
Perché dunque ci si occupa per una vita di un problema marginale, che riguarda poche persone?
Una sera ero a cena con Carlo Cuomo, il compianto presidente dell’Opera Nomadi. Venimmo a parlare di zingari, come ancora si diceva, tra noi. E dopo qualche battuta sulla loro condizione di allora, Carlo alzò il viso verso di me ch’ero rimasto in piedi e disse, scuotendo la testa e ridendo:
Per occuparsi di zingari bisogna essere matti. Tu e io lo siamo. 
Dunque sarebbe questa la spiegazione? Stranezze individuali al confine con la mania? Me lo sono chiesto molte volte, dopo che a me lo chiedevano e, preso in contropiede, non sapevo rispondere. 
Lo si fa perché è giusto. Ma anche per legittima difesa. Perché i loro diritti serenamente violati sono gli stessi nostri diritti. I diritti dell’uomo, universali e indivisibili. E irrinunciabili. E fino a quando uno di questi diritti viene violato, anch’io, io stesso sono violato e calpestato.
I problemi dei rom e dei sinti sono i nostri problemi, perché l’antiziganismo lo pratichiamo noi, noi gagè, i non rom, le nostre istituzioni democratiche, repubblicane, e manovrate in modo razzista contro rom e sinti; e continuerà ad esistere e perpetuarsi, l’antiziganismo, peggio di qualunque coronavirus, finché tutti insieme non ci metteremo a combatterlo, conducendo il nostro paese verso un’altra soglia di civiltà.
Qualche settimana fa era attesa la conclusione del Piano di Azione Locale, che, originando da progetti dell’Unione Europea e del Consiglio d‘Europa, tradotti in Italia attraverso l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali di Palazzo Chigi), doveva spingere alcune aree metropolitane e città italiane, fra cui Milano, ad affrontare i problemi –insormontabili? così parrebbe- di questa minuscola comunità sparpagliata, che vive in Italia solo da 600 anni: forse 180.000 persone, per metà minori, su 60 milioni di abitanti dello Stivale.
Così non è stato. 
A Milano si è formata, a partire da un Tavolo Rom in Camera del Lavoro, negli anni passati, una Rete Rom di sei associazioni, che ovviamente hanno dato battaglia: 
1° Qualcuno, forse Mandela, ha detto: chi si occupa di te, senza di te, lo fa contro di te. Abbiamo sostenuto che non era possibile che noi affrontassimo i loro problemi di rom e sinti, senza che loro nemmeno fossero informati e partecipassero. 
Qui nasce sempre il falso problema della rappresentanza. Un’idea da finti decolonizzatori (ricordate il 1960 quando nasceva uno stato nuovo un giorno sì e l’altro pure?): Come scegliere –noi!- i loro rappresentanti? saranno capaci di farlo da soli? Secondo i nostri criteri, magari no. Perché non con i loro?
2° Di occasioni in cui s’è parlato dei problemi di rom e sinti ce ne sono state tante; finiscono sempre in niente, perché nessuno si assume la responsabilità politica delle conclusioni e dell’applicazione delle decisioni prese. Che restano aria fritta. Abbiamo dunque chiesto una presa d’atto del Consiglio comunale rispetto alle proposte del documento finale.
E così non è arrivato nemmeno il documento finale, di cui si sarebbe dovuto prendere atto. È sceso invece un totale silenzio preelettorale. La tradizione è salva.
Sempre secondo tradizione preelettorale, ecco che invece si sgombera brutalmente e senza preavviso il campo comunale Bonfadini, uno di quelli più antichi, col pretesto che alcuni abitanti sarebbero dediti, da manovali, a un traffico di rifiuti. Si abbattono tutte le casette e si disperde la popolazione –uomini donne bambini e vecchi- fra istituti, luoghi temporanei (perché restino nomadi) e marciapiedi. 
E i diritti inviolabili dell’uomo e, un passo indietro, delle donne? Art. 2 della non molto applicata, ma violata sì, Costituzione Italiana, come i seguenti citati.
Il domicilio è inviolabile? Art. 14. In effetti non è stato violato il domicilio, in questo caso, ma raso al suolo.
La responsabilità penale è personale? Art. 27.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge? Art. 42, comma 2.
Le guerre non dichiarate non finiscono mai. E l’Italia sarà anche vero che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli… art.11, ma non con gli ‘zingari’…
Nomadi e stranieri. Mai rom.
Oggi il sindaco è Sala; quando fu chiuso Triboniano, nel 2011, in vista delle elezioni che perse, era Moratti. E per via Idro, il campo più integrato nella città, con mostre, spettacoli, incontri aperti ai quartieri vicini, tutto dentro il campo, la chiusura fu decisa dall’assessore Granelli (area Caritas), della Giunta Pisapia.
Qualcuno coglie delle differenze?
Se sì, a danno del centrosinistra, ormai lontano dagli ultimi: Granelli (DEM) fece –e vantò in TV- molti più sgomberi di De Corato (MSI-AN). Ma, diamine!, era per superare i campi! E cioè come seppellire un proposito civile, che ha ovviamente lunga scadenza, per garantire i diritti delle persone, in un’arruffata barbarica iniziativa, di cui menare finanche vanto. I quali campi non si superano così né da destra, né da sinistra, ma passandoci sopra. Con la ruspa. E se la cosa vi ricorda salvini (sempre minuscolo per disprezzo), be’, è proprio così.
Questa è la nostra attualità.
Nell’Ufficio che, senza tema del ridicolo, si chiama Stranieri e Nomadi, dovrebbero riconoscersi i cosiddetti ‘zingari’, magari italiani dal 1422, i sinti, o da fine 1300 (battaglia di Kosovo Polje) i rom. Stranieri? Nomadi? Basti pensare ai rom sfuggiti alle guerre etniche dei primi anni ’90 in Jugoslavia e da noi giunti e… promossi “nomadi” nei relativi campi, dopo che là avevano dovuto abbandonare le proprie case. E il lavoro.
Nel 1992 il Parlamento italiano votò con inusitata tempestività una legge, la 390/92, che stabiliva provvidenze e finanziamenti in aiuto dei profughi dalla Jugoslavia. A Milano, un’assessora, M. Grazia Dente, della giunta Formentini, incaricò il CIR - Centro Italiano Rifugiati, di censire queste persone per poter poi intervenire in loro aiuto. Il censimento fu fatto, consegnato al Comune, che pagò il lavoro. 
E lì ci si è fermati. Le schede ci sono ancora, chiuse in un armadio, nemmeno voltato contro il muro, negli uffici comunali di via Ortles, che potremmo dunque definire un ‘armadietto della vergogna’, visto che lì sono state vergognosamente dimenticate, quelle schede, e non sono mai state utilizzate; e ai rom, che erano la quasi totalità di quei profughi, nulla è arrivato, se non continui sgomberi. E campi ‘nomadi’. 
Ho personalmente conosciuto padri serbi e croati e bosniaci, regolarmente provvisti del mitico passaporto rosso della Jugoslavia (Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija, SFRJ), e i loro figli. Diventati apolidi.
In questi ultimi anni succede però qualcosa che a Carlo Cuomo piacerebbe molto e per il quale aveva impegnato molte energie: sempre più giovani rom e sinti, ragazze e ragazzi, hanno frequentato la scuola, in un numero crescente di casi raggiungendo anche le scuole superiori. 
Nasce così una consapevolezza anche collettiva di sé, studiando e leggendo e discutendo: persino i mezzi d’informazione, che si buttavano una volta sulle fole dei bambini rubati, scoprono che qualcosa di nuovo si sta formando e prende corpo.
Il muro compatto e ostile di separatezza fra la società maggioritaria e la piccola marginale società delle baracche comincia a mostrare qualche crepa.
A Lanciano, dove è stato inaugurato il 5 ottobre 2018 l’unico monumento italiano al Samudaripen-Porrajmos (il genocidio di rom e sinti ad opera dei nazisti), per iniziativa del famoso artista Santino Alexian Spinelli, nominato poi Commendatore della Repubblica dal Presidente Mattarella, nasce l’associazione UCRI-Unione Comunità Romanès in Italia.
A Milano nasce con Dijana Pavlovic il 16 maggio 2019, data della Rivolta di rom e sinti ad Auschwitz, il Movimento Kethane (insieme), rom e sinti per l’Italia, che riempie la sala del Teatro Nuovo.
E qualche notizia dall’estero va in questa stessa direzione.
Sarebbe piaciuto a Carlo, e piace a me, che infatti sono iscritto ad ambedue. Se prendono loro in mano il loro futuro, forse, dopo 35 anni, posso andare in pensione davvero.

2 commenti:

  1. Graie a persone come Cuomo e come lei,dovreste avere più spazio per far capire cosa vuol dire battersi per i diritti delle persone.

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  2. Gentile amico o amica, grazie a lei per queste sue parole, che sono un bel sostegno a una causa che sembra sempre disperata. Gli spazi per parlare e spiegare sono pochi. In tutti questi anni ne abbiamo conquistati di nuovi a fatica, strappandoli all'indifferenza e, talvolta, perfino agli avversari. Non poche volte m'è capitato di parlare davanti a persone che urlavano. Urlavano tutti insieme, e dunque, a un certo punto, dovevano, tutti insieme, fermarsi a respirare. Allora parlavo io. Non bisogna tacere né lasciarsi zittire.

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