23 ottobre 2020

Mimmo Lucano, “il fuorilegge”

Aldo Silvani

Riace è diventata famosa nel mondo per i magnifici bronzi greci ritrovati nelle sue acque. Poi è arrivato Mimmo Lucano, “il fuorilegge”, e la cittadina calabrese ha assunto una nuova notorietà per il modello di accoglienza che ha trasformato il “problema immigrazione” in una risorsa

Straniero, non è mia abitudine trattar male un ospite,
anche se venisse qui qualcuno più misero di te,
perché tutti gli stranieri e i fuggiaschi sono protetti da Zeus,
e anche un nostro piccolo dono è prezioso. (Omero, Odissea Libro XIV) 

Si è molto parlato dell’esperienza di accoglienza di migranti curdi e di altre nazionalità a Riace, progettata e realizzata dal sindaco di allora, Mimmo Lucano, assieme ai migranti stessi e agli abitanti di Riace. Ora la pubblicazione del libro (scritto assieme a Marco Rizzo), chiarisce meglio la complessità del progetto e il profondo discorso culturale che stanno alla base di quello che si era iniziato a realizzare e che è stato interrotto da una sentenza che riconosceva il sindaco colpevole di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di altre irregolarità. Tale provvedimento della magistratura aveva evidentemente, in un momento politico molto rischioso per la nostra democrazia , altre finalità e il problema dell’immigrazione era solo un pretesto per portare avanti posizioni politiche antidemocratiche e razziste. 

Il sistema di accoglienza basato sulla realizzazione di progetti personalizzati di integrazione dei migranti affidati agli SPRAR e gestiti dai Comuni è stato inoltre profondamente modificato dai Decreti Sicurezza di Salvini. Le accuse rivolte al sindaco sono state poi progressivamente smontate e l’esperienza di Riace ha riacquistato tutto il suo valore.

Il libro di Lucano è di estremo interesse e analizza tutta la complessità culturale, le motivazioni antropologiche, oltre che la situazione economica, politica e le guerre, che stanno alla base delle migrazioni e del progetto di accoglienza nel piccolo paese calabrese, al di là di quello che si è potuto realizzare nel tempo.

C’è un filo sotto traccia che dà senso alla presenza dei migranti a Riace e che sta alla base del progetto di Lucano, elemento che merita a mio giudizio di essere evidenziato, assieme alle altre linee conduttrici del lavoro svolto con tanto impegno nel paese calabrese, perché avrebbe potuto dare il senso vero di quell’esperienza. L’arrivo dei migranti non è un problema che riguarda solo quelli che arrivano e perché arrivano, e come assisterli, ma riguarda chi arriva e chi li accoglie. Veniamo tutti dall’incontro di culture e civiltà diverse dovuto alle migrazioni. Non è dunque importante capire solo “come siamo” e “come saremo”, ma soprattutto “come eravamo” e “da dove veniamo”. Il discorso antropologico ci permette di capire il senso di essere ora qui e da cosa è costituita la nostra specificità culturale. Ecco allora l’importanza dell’esperienza Riace. Ed ecco le migrazioni come elemento costante e imprescindibile del nostro modo di stare su questa terra. Non è solo importante quello che Lucano ha fatto per i curdi o per i palestinesi o per le altre etnie ospitate a Riace. E’ soprattutto importante il legame, la condivisione, la scoperta di una possibile identità tra i vecchi abitanti e i nuovi abitanti di Riace, la possibile riscoperta di un filo conduttore fra popoli e civiltà migranti che ha accomunato i popoli che si affacciano sul bacino del Mediterraneo fin dalla preistoria e con un processo spesso faticoso e anche traumatico ha dato origine a civiltà e culture che sono anche le nostre. La riscoperta di tracce di continuità nel modo di vivere assieme, migranti e abitanti di Riace, nel condividere il lavoro artigianale e la vita di tutti i giorni. Difatti Riace, paese che come molti borghi dell’Appennino si era andato spopolando negli anni, aveva ricominciato ad essere riabitata e l’abbandono del paese da parte dei riacesi interrotto. 

Il fuorilegge diventa promotore e centro di gravità di culture, di politiche, di religioni che riescono a riconoscersi, a convivere pacificamente pur nelle differenze in un divenire che viene da lontano. Credo che le difficoltà e le differenze che pur ci saranno state e che secoli di storia hanno creato, si potesse tentare di ricomporle e farle convivere democraticamente nel riconoscimento di questa dialettica. I curdi che sbarcano a Riace così come gli africani che arrivano a Lampedusa non sono forse molto diversi da Ulisse e dai suoi uomini che da Troia arrivano sulle coste italiane dopo avere vissuto esperienze che li hanno profondamente cambiati. Così come Enea che porta sulle sue spalle il padre Anchise, il suo passato, che sbarca sulle coste laziali, ha un profondo significato simbolico: generazioni che emigrano e si modificano mantenendo una sottile continuità pur nella diversità, in un continuo processo di meticciamento. Enea darà origine alla civiltà romana incontrando le popolazioni etrusche e latine residenti nell’area laziale. Popoli che si mescolano, si modificano, creano civiltà e nuove identità ma dove forse elementi di specificità e di continuità vengono mantenuti. Popoli che emigrano, spinti dalla necessità di sopravvivere a guerre, carestie, a regimi oppressivi, ma anche solo dal desiderio di nuove conoscenze e di sperimentare nuove opportunità. A nulla servono e sono serviti i tentativi di arrestare questo flusso di popoli. 

Questo, a mio parere, ci dice il sobrio linguaggio di Mimmo Lucano e questo è forse il senso profondo del suo lavoro a Riace. Il coinvolgimento di chi arriva nella progettazione e nella realizzazione dei programmi di integrazione e la ricerca di elementi comuni di continuità tra le culture locali e quelle di chi arriva, è stato in grado di dare stabilità ai nuovi abitanti. Non solo, ha frenato lo spopolamento di questo piccolo borgo, così come sta avvenendo nei nostri splendidi paesi dell’Appennino. Senza l’approfondimento di queste tematiche la pur lodevole decisione di creare piccole imprese artigiane e laboratori avrebbe avuto meno interesse. Si cominciavano a vedere i risultati. Ad esempio le case concesse in uso ai migranti, e restaurate con fondi pubblici e privati, dai proprietari emigrati, l’utilizzo di risorse locali come gli asini per la raccolta differenziata dei rifiuti o il tentativo di utilizzare sorgenti idriche inutilizzate per distribuire gratuitamente l’acqua agli abitanti. Iniziative che si sono scontrate con la vischiosità burocratica o con l’opposizione di enti pubblici o, e questo è ancora peggio, con la politica salviniana.

Il fuorilegge è riuscito a porre alla base del suo lavoro la solidarietà e la condivisione per raggiungere risultati condivisi. E questo è avvenuto senza chiudersi dentro le mura di una piccola esperienza in un piccolo territorio. Anzi Lucano ha sempre aperto il suo paese e il suo modo di operare al confronto con chi poteva condividerlo. Ha saputo costruire una rete di rapporti con persone, comuni vicini, enti e associazioni in Italia e all’estero, facendo diventare Riace un caso da studiare e imitare. Purtroppo si è scontrato con una politica che lo ha utilizzato cinicamente per altri fini, che non ha esitato a tentare di nascondere le conclusioni positive della commissione prefettizia incaricata di valutare l’esperienza, di chi come il ministro degli Interni di allora, Salvini, utilizza i migranti come il principale pericolo per la nostra sicurezza. Il risultato di questa politica criminale è l’aver contribuito alle migliaia di morti nel Mediterraneo, simboleggiato nel primo capitolo del libro dalla morte di Becky Moses in un incendio nella baraccopoli di San Ferdinando, tra Gioia Tauro e Rosarno, dove aveva dovuto riparare dopo la fine del suo periodo di accoglienza e Riace.


Mimmo Lucano, Il fuorilegge. La lunga battaglia di un uomo solo, Feltrinelli


1 commento:

  1. ho letto con interesse le riflessioni di Aldo Silvani. Ieri ho iniziato a leggere il libro di Mimmo Lucano "Il fuorilegge" e queste riflessioni mi aiuteranno a leggerlo con maggior interesse. Il 5 ottobre ho letto sul quotidiano "Domani" l'articolo "Quell'insopprimibile bisogno di rileggere l'Eneide". Da allora sto riflettendo su Enea, un immigrato citato da A. Silvani che, fuggito da Troia distrutta dalla guerra e dal fuoco, con il figlio Ascanio, il vecchio padre Anchise sulle spalle (la sua memoria storica, la sua sapienza) e i dei Penati della sua casa. Non parte con un esercito forte, ma come un povero disgraziato, con la famiglia a carico, con un manipolo di disgraziati come lui. Non sa da che parte cominciare; va verso l'ignoto. Dopo un peregrinare con tanti problemi e imprevisti diventerà il fondatore di Roma e del grande Impero romano, della civiltà romana. Enea alla paura risponde con l'audacia, alla distruzione risponde con la ricostruzione. E' così anche per tanti immigrati attuali? e come scrive Silvani ci porteranno ad un positivo mescolamento di civiltà e di culture e ci faranno superare questo decadentismo in cui ci troviamo? saluti Fiorenza

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