30 dicembre 2022

Qatargate: alle radici della corruzione

In molti siamo stati sorpresi dall’arresto per corruzione dell’ex segretario della Camera del lavoro di Milano e parlamentare europeo, per il ruolo avuto nel favorire “uno stato del Golfo”. Un affaire che ha investito direttamente il parlamento europeo, non nuovo a scandali di corruzione. Ma mentre ci si affanna a proporre nuove regole che rendano più trasparenti le attività di lobbying o a istituire un qualche comitato etico, poco o nulla si discute dei motivi che rendono l’istituzione permeabile al malaffare, e che sono riconducibili all’architettura stessa dell’Unione europea. 


Infatti, malgrado tutta la retorica spesa per ricordare la visione dell’Europa di Altiero Spinelli, una federazione democratica ispirata ai principi di pace e libertà, l’Unione europea, come è noto, non nasce da quel progetto e quella concezione, ma da una serie di accordi commerciali. Il primo trattato, la Ceca, risale al 1951 e introduce la libera circolazione fra i paesi aderenti di carbone e acciaio. Nel 1957 vengono istituiti la CEE, che estende la libera circolazione ad altri settori (agricoltura e trasporti), e l’Euratom, la comunità europea dell’energia atomica. Questi primi accordi mercantili sarebbero potuti essere la base per una futura integrazione economica e politica, ma le scelte neoliberiste adottate da tutti i governi europei hanno impedito di perseguire un disegno di coesione economica e politica.
Nonostante alcuni progressi formali sul piano delle libertà e dei diritti umani, l’Unione europea sconta un grave deficit democratico nelle sue istituzioni: organi ristretti e centralizzati che operano di intesa con il mondo degli affari, un contesto opaco che favorisce intrinsecamente la corruzione. Solo il parlamento viene eletto direttamente dai cittadini (e con tutti i limiti che conosciamo) ma è quasi privo di poteri, tanto che può solo ratificare o respingere le leggi proposte dalla Commissione europea. 
Gli stretti legami fra business e istituzioni – soldi e potere – sono ben evidenti: sono oltre 12.000 le lobby registrate, in gran parte legate al mondo imprenditoriale, ed è un fatto che maggiore è la loro forza economica, maggiore sarà la loro capacità di influenzare le decisioni politiche, rendendo pressoché impossibile distinguere fra interesse privato e interesse pubblico. 
Senza un deciso ripensamento delle istituzioni e dei trattati, che rompano il rapporto tra business e politica, l’Europa è destinata a rimanere politicamente irrilevante e ad allontanarsi dai principi di giustizia e uguaglianza che ne hanno ispirato la nascita. 

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