26 maggio 2021

Sopravvivrà il Regno unito alla Brexit?

A quattro anni dall’esito del referendum che ha decretato l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, le nazioni minori contestano la politica del governo centrale. In particolare nell’Irlanda del nord si riapre il conflitto che ha travagliato intere generazioni


Sono passati esattamente cento anni da quando, il 6 dicembre 1921, fu approvato il trattato anglo-irlandese che riconosceva l’indipendenza dell’Irlanda, a esclusione delle sei contee del nord dove la maggioranza protestante scelse di rimanere nel Regno Unito, una divisione avversata dal movimento indipendentista. Ne nacque uno dei conflitti più duraturi del ventesimo secolo, conclusosi nel 1998 con gli accordi detti del Venerdì santo, approvati da quasi tutte le parti e che prevedevano la condivisione del potere tra protestanti e cattolici e l’abolizione dei confini tra le due Irlande. I cittadini nordirlandesi potevano inoltre ottenere la doppia cittadinanza, aggiungendo alla propria quella irlandese o britannica.
Ne sono seguiti anni di relativa pace, un equilibrio difficile che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea ha reso ancor più precario, come dimostrano i disordini dei giorni scorsi, quando nell’anniversario degli accordi del 1998, gruppi di giovani unionisti hanno lanciato sassi e bottiglie incendiarie contro le forze di polizia minacciando di stracciare gli accordi del Venerdì santo. 
Votando in maggioranza a favore della Brexit gli unionisti – e ancor più i loro leader - non avevano evidentemente capito le ripercussioni che ne sarebbero potute derivare. Infatti, dopo estenuanti trattative con la UE, è stato di fatto istituito un confine marittimo fra Gran Bretagna e Irlanda, mantenendo invece inalterate le prerogative relative al confine fra le due Irlande. Sostanzialmente tutta l’Irlanda rimane nell’Unione europea, a scapito delle relazioni commerciali con la Gran Bretagna. Quando nel 2017 il DUP, il partito unionista democratico nordirlandese, appoggiò Theresa May consentendole di avere la maggioranza di governo, si illudeva di ottenere un peso decisivo nelle scelte di Londra, un’illusione che anche Boris Johnson ha coltivato promettendo che la Brexit non avrebbe portato a un confine rigido né terrestre né marittimo. Non siamo in grado di giudicare se si trattasse di promesse da marinaio o di una sottovalutazione delle circostanze, fatto è che per evitare di  ripristinare un confine che avrebbe messo a rischio gli accordi del 1998, Londra ha preferito scontentare gli alleati impegnandosi a pagare le tariffe doganali imposte dal nuovo confine.
Anni di trattative con l’Unione europea non sono infatti bastati a dirimere questioni cruciali ed era evidente che la logica semplificatoria dei referendum non potesse dare soluzioni a questioni complesse, che tuttora, nonostante le dilazioni, non sono state risolte. 
C’è da aggiungere che la popolazione cattolica e repubblicana sta per superare numericamente quella fedele alla Corona e questo - come previsto dagli accordi del ‘98 - potrebbe portare a un referendum per l’unità irlandese, una possibilità che la comunità filobritannica non è disposta ad accettare.
E se, senza dubbio, gli attriti più acuti riguardano l’Irlanda del nord, la Brexit ha acceso nuove rivendicazioni indipendentiste in Scozia e persino in Galles, una situazione che Londra avrà molta difficoltà a dipanare.


1 commento:

  1. Gian Carlo Costadoni

    E se London perderà Scozia e Irlanda del nord, e magari anche il Galles, lo dovrà a quel genio di Cameron...

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