26 maggio 2021

La vittoria dell'ambientalismo artico

Alle elezioni groenlandesi vince il partito di democrazia socialista Inuit, contrario allo sfruttamento di uno dei più grandi giacimenti di terre rare e uranio, un voto che avrà ampie ripercussioni sugli equilibri politici nell’Artico


Con 57.000 abitanti e un territorio grande sette volte l’Italia la Groenlandia ha rovinato gli appetiti delle grandi compagnie minerarie e delle superpotenze che si contendono le risorse della grande isola. Alle elezioni dello scorso 6 aprile, con uno storico 36,6%, ha vinto il partito di democrazia socialista Inuit Ataqatigiit (Comunità popolare), che si oppone al progetto di apertura della miniera di Kvanefjeld, il secondo più grande deposito al mondo di terre rare e il quinto di uranio. 

Il progetto dell’australo-cinese Greenland Minerals prevedeva la concessione per 37 anni della miniera e l’estrazione di 3 milioni di tonnellate all’anno di terre rare, uranio e torio (e prodotto milioni di tonnellate di scarti e scorie) in cambio di 328 posto di lavoro locali. 
Il parere favorevole del partito socialdemocratico al potere, che pur se tardivamente aveva messo in dubbio la validità del progetto, ha portato alla crisi di governo dalla quale sono usciti vincenti gli oppositori, che considerano politicamente centrale la questione ambientale.
Questo voto avrà ampie ripercussioni sugli equilibri politici nell’Artico. Oltre alle enormi risorse minerarie dell’isola, lo scioglimento dei ghiacciai ha reso possibile l’apertura delle rotte artiche e lo sfruttamento di grandi riserve di petrolio e gas naturale finora irraggiungibili. Per di più, le temperature artiche sono oggi molto ambite dalle aziende informatiche per ridurre i costi energetici necessari al raffreddamento dei loro data center. Non è un caso che nell’agosto 2019 Donald Trump abbia proposto alla Danimarca di comprare la Groenlandia, ricevendone un netto rifiuto. Con questo acquisto avrebbe ottenuto sicuri vantaggi economici, ma soprattutto avrebbe sbarrato la strada alla Cina, da cui erano già arrivate proposte per la costruzione di nuovi aeroporti, e alla Russia, che non intende rimanere in disparte. 
È con questo nuovo scenario di tensione fra grandi potenze che il governo Inuit dovrà confrontarsi ricercando un modello economico che gli consenta di sganciarsi dalla Danimarca, da cui dipende per il 40% del suo bilancio, salvaguardando l’ambiente e difendendo l’identità culturale della grande isola. 




 

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