6 febbraio 2020

La lezione laburista


Elena Basso

La lettura che molti politici e opinionisti “moderati” nostrani hanno dato della sconfitta laburista alle elezioni britanniche, secondo la quale un programma troppo radicale favorirebbe la destra, è contestata, con solide argomentazioni, dagli osservatori più attenti (tra gli altri Fabrizio Barca, https://www.avvenire.it/economia/pagine/la-lezione-inglese-per-la-sinistra-italiana)

Non c’è dubbio che la sconfitta laburista sia stata pesante. Boris Johnson è riuscito, come già Bolsonaro in Brasile prima di lui, a portare il terreno dello scontro elettorale dai temi politici e sociali alle questioni identitarie e nazionali. Questo ha penalizzato i laburisti, che hanno ottenuto il 32,2% dei voti contro il 43,6% dei conservatori, arretrando rispetto a due anni fa, ma mantenendosi comunque ben al di sopra dei risultati dell'ultimo periodo della gestione Tony Blair – Gordon Brown.
La polarizzazione del voto attorno ai conservatori e il sistema uninominale secco, per cui è sufficiente un solo voto in più per vincere un seggio, hanno fatto il resto, traducendosi in 203 seggi alla Camera dei Comuni per il  Labour  contro i 365 dei Conservatori.
Se però si guarda al di là del risultato elettorale, fortemente condizionato dalla Brexit e dall'uso spregiudicato che ne ha fatto Johnson, si può vedere che Jeremy Corbyn ha ricostruito un consenso, ha fatto rinascere la passione attorno a un programma radicale e credibile, il “manifesto della speranza”, proponendo forti interventi nelle politiche sociali, un aumento delle tasse sui profitti delle aziende e per la popolazione più ricca, la fine delle privatizzazioni nella sanità, un ambizioso progetto di riconversione industriale ‘verde’ (https://labour.org.uk/manifesto/).
Proprio questa radicalità ha spostato i termini del discorso pubblico, costringendo i conservatori a misurarsi su quel terreno, per esempio sulla sanità pubblica dove, dopo anni di tagli, hanno dovuto promettere l’assunzione di 50.000 infermieri e la costruzione di nuovi ospedali, impegnandosi a investire in scuole, ricerca e infrastrutture.
Anche un sondaggio fra i non elettori del Labour, citato dal filosofo Lorenzo Coccoli, che quelle elezioni ha seguito da vicino (https://bit.ly/2uZZZFk), conferma che non è stato il programma di Corbyn a spaventarli (solo il 12% ha indicato questa motivazione), e quindi non è vero – almeno secondo questo sondaggio - che il Labour ha perso perché troppo di sinistra. Anzi. Come ancora sostiene Barca, “ci vuole tempo e duro lavoro per mettere sul tavolo proposte che ricostruiscono un ruolo dello Stato ma, oltre lo Stato, la risposta al neoliberismo sta nel ‘collettivo’” E poi , aggiunge sferzante, “la sinistra italiana se lo sogna il 32%”.
Un’altra critica dei detrattori di Corbyn, è che rappresenterebbe il passato. Eppure basterebbe leggere il programma per capire che è ben dentro il presente, come hanno evidentemente capito i più giovani, che lo hanno sostenuto e votato in maggioranza, raggiungendo addirittura il 56% dei consensi fra i minori di 24 anni, un dato che dovrebbe portare a una profonda riflessione e a una concreta speranza per il futuro.
Naturalmente nella campagna di Corbyn ci sono stati degli errori e dei tentennamenti (era indubbiamente molto difficile per il Labour sostenere il “Remain” quando molti suoi elettori erano a favore del “Leave”), ma è innegabile che Corbyn stesso sia stato oggetto di un’ostilità mediatica – ad esempio le ripetute accuse di antisemitismo per le posizioni politiche su Israele – alimentata anche con fior di quattrini.
Non vanno infine trascurate le particolarità territoriali, che hanno visto in Scozia un grande successo degli indipendentisti e in Irlanda del Nord l’affermazione dei repubblicani che hanno prevalso sugli unionisti, una questione che farà presto dimenticare il sollievo per la soluzione della Brexit.


1 commento:

  1. Come laburista britannico, non troverei nelle elezioni molto con cui consolarmi. Trovo poi che occorrerebbe chiedersi che cosa abbia fatto Corbyn per cercare di modificare le opinioni dei laburisti contrari a rimanere nell'Unione (forse perché lui stesso era piuttosto perplesso a rimanerci). Uno statista non segue gli elettori ma cerca di modificare le loro opinioni sbagliate. Sarebbe poi interessante sapere perché Corbyn non si pronunci contro il maggioritario secco...

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