27 gennaio 2022

In India la più grande protesta del mondo

Da più di un anno 250 milioni di contadini indiani lottano per abolire tre leggi che, liberalizzando il mercato agricolo, minerebbero il loro futuro. Per intensità e continuità, questa lotta è stata definita la seconda lotta per l’indipendenza


Al momento dell’indipendenza, nel 1947, la popolazione indiana era di 350 milioni di abitanti e l’agricoltura valeva il 50% del PIL; oggi gli indiani sono un miliardo e 400 milioni, il 65% vive nelle aree rurali, e l’agricoltura vale poco più del 10% del PIL.
Le leggi agrarie risalgono agli anni successivi all’indipendenza, quando l’Unione indiana e i governi statali fecero investimenti notevoli in progetti incentrati su energia e irrigazione, e prevedevano, fra l’altro, che i contadini potessero vendere i loro prodotti presso mercati all’ingrosso gestiti dal governo con prezzi minimi garantiti.
Negli anni ‘70, con l’aumento della popolazione e di una classe media con esigenze dietetiche al di là della mera sopravvivenza, si rese necessario espandere la produzione agricola. La rivoluzione verde sembrava la soluzione; la produttività aumentava sensibilmente, ma presto vennero a galla tutti i suoi limiti: le varietà ad alta resa richiedevano molta acqua, fertilizzanti e concimi chimici per acquistare i quali i piccoli contadini si indebitavano, divenendo sempre più ostaggi dei grandi proprietari terrieri e delle speculazioni sui prezzi, mentre i terreni si impoverivano e le falde acquifere si prosciugavano. Inoltre, con la minore necessità di manodopera, moltissime persone emigrarono nelle città, andando a ingrossare le baraccopoli.
A peggiorare la situazione intervennero negli anni ‘90 gli accordi di libero scambio, che hanno accresciuto la vulnerabilità di gran parte dei contadini, mentre lo Stato si ritirava e rimuoveva le restrizioni quantitative alle importazioni agricole. Il meccanismo è noto: viene importato cibo a basso costo da paesi con agricoltura tecnologicamente avanzata e, come accade per Stati Uniti ed Europa, ampiamente sovvenzionata, che spinge fuori mercato i piccoli produttori locali.
Anche l’accesso al credito per i contadini, in precedenza favorito con bassi tassi di interesse, è arrivato in alcuni stati al 13%. Il risultato è che molti hanno dovuto vendere la terra, aggravando ulteriormente le loro condizioni di vita.
L’ultimo colpo ai contadini indiani è arrivato dal governo del Bharatiya Janata Party, il partito nazionalista indù al potere, che in sostanza intendeva tagliare i sussidi ai contadini e abolire i prezzi calmierati, lasciando alla mano libera del mercato il compito di ammodernare il settore, favorendo gli investimenti in agricoltura e nell’industria della trasformazione. Per i contadini indiani, in gran parte proprietari di piccoli appezzamenti, queste leggi avrebbero ulteriormente eroso la loro possibilità di sopravvivenza, dopo tre decenni di crisi in cui ci sono stati 400.000 suicidi per debiti, un numero impressionante ma che comprende solo chi aveva titoli di proprietà, e non le donne, i contadini senza terra, i fuori casta (dalit) e le popolazioni indigene (adivasi). Per dare un’idea dell’ampiezza del problema, basti dire che oltre la metà delle famiglie contadine è indebitata, con un debito equivalente al 60% del suo reddito annuo. 
Le nuove leggi non hanno fatto altro che esacerbare la rabbia dei contadini che continuano a perdere reddito in un paese che avrebbe in teoria raggiunto l’autosufficienza alimentare, ma che non ha mai ritenuto prioritaria una riforma agraria che superi la frammentarietà del sistema e consideri i mutamenti della domanda intervenuti negli ultimi decenni. 
Per questo, già nel settembre 2020, gli agricoltori iniziano a protestare e con lo slogan "andiamo a Delhi", a novembre in centinaia di migliaia raggiungono la capitale, accampandosi nei dintorni e dando vita a numerosi blocchi stradali, violentemente repressi dalla polizia.
Dopo oltre un anno di mobilitazione, i contadini hanno ottenuto un primo grande risultato: il premier Narendra Modi ha promesso che abolirà le tre leggi contro le quali gli agricoltori si battevano e che avrebbero liberalizzato il mercato agricolo e cancellato il prezzo minimo dei prodotti. Questa lotta, per intensità e continuità, è stata definita la seconda lotta per l’indipendenza: partita dal Punjab, lo stato indiano a più forte vocazione agricola, si è via via estesa agli altri stati, ricevendo un ampio sostegno dalla società civile e dai partiti di opposizione. 
Ora, a due mesi dall’annuncio, il governo non ha compiuto nessun passo per mantenere i patti e i contadini si preparano a nuove manifestazioni.



Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui un tuo commento