27 gennaio 2022

Cosa succede in Nuova Caledonia?

Nel territorio francese, ufficialmente denominato “collettività d’oltremare sui generis”, si è svolto a dicembre il terzo e ultimo referendum per l’indipendenza. I no hanno stravinto, ma il problema rimane. La popolazione kanaka, che aveva chiesto di rinviare il voto per rispettare il periodo di lutto per i morti di covid, non ha votato e non rinuncerà facilmente alla propria indipendenza


È raro che la stampa nazionale presti attenzione a quanto accade in qualche sperduto isolotto del Pacifico, noto al più come suggestiva meta turistica. Eppure l’area indo-pacifica è di importanza strategica nel nuovo conflitto tra Stati Uniti e Cina, un’area da cui la Francia non intende rimanere esclusa. Si può forse leggere in quest’ottica la decisione di Parigi di svolgere il terzo referendum per l’indipendenza della Nuova Caledonia senza la partecipazione della popolazione autoctona, i kanak. Il risultato, strabiliante per quanto prevedibile, è stato che il no ha vinto con il 96,6%. Ha votato il 44% degli aventi diritto, ma nelle due province a maggioranza kanaka la partecipazione è scesa rispettivamente al 16,6 e al 4,5%. 
Un referendum per l’autodeterminazione senza l’adesione del popolo colonizzato che legittimità e conseguenze può avere? Chi ricorda gli eventi del 1984-88 che avevano portato il paese sull’orlo della guerra civile non può che essere preoccupato per questo voto, disertato in massa dalla popolazione kanaka. Gli accordi di Matignon (sede del governo francese) del 1988 e di Noumea (capitale della Nuova Caledonia) del 1998 seguiti alle violenze degli anni precedenti, avevano fatto sperare in una decolonizzazione pacifica, dopo oltre un secolo di occupazione. 
L’arcipelago, infatti, diventa possedimento francese nel 1853 sotto Napoleone III che ne fa una colonia penale. Nel 1872 qui verranno deportati molti comunardi e le loro famiglie e fra loro vogliamo ricordare gli anarchici Louise Michel e Charles Malato, fra i pochi a non considerare gli indigeni dei selvaggi e a scriverne. Il processo di colonizzazione decimò la popolazione kanaka (malattie, esproprio delle terre) che più volte si ribellò e fu repressa con violenza inaudita, in particolare nelle sommosse del 1878 e del 1917. Nel 1946 l’ONU inserisce la Nuova Caledonia fra i paesi da decolonizzare ma nel 1947, su pressione della Francia, viene esclusa, per poi esservi riammessa nel 1986.
Inizialmente la Francia era interessata solo a liberarsi dei detenuti, soprattutto quelli “scomodi”, ma presto scoprì che l’arcipelago era ricco di nickel e nel 1880 venne costituita la società Le Nickel dei baroni Rotschild, una potente impresa cha ha di fatto segnato il destino del paese. Ancora oggi la Nuova Caledonia fornisce l’8% della produzione mondiale di nickel, una risorsa che garantisce il 7% del pil e un quarto dell’occupazione nel settore privato e che ha avuto un peso centrale nei colloqui che hanno portato agli accordi di Matignon e Noumea. Nonostante questi abbiano consentito ai kanaki di raggiungere un certo grado di autonomia, per esempio con l’istituzione di un Senato consuetudinario e la gestione di una società mineraria nel nord del paese, la Francia ha continuato con le sue politiche di stampo coloniale, favorendo l’immigrazione francese e tenendo saldamente in mano le redini dell’economia e di tutti i gangli del potere, fino alla decisione unilaterale di indire il referendum contro la volontà dei kanaki, in lutto per l’impennata dei casi di covid dei mesi scorsi e che per questo ne avevano chiesto il rinvio.
Nelle due precedenti consultazioni il “no” all’indipendenza aveva vinto con il 56,7% nel 2018 e il 53,3% nel 2020 (con oltre l’80% dei votanti), evidenziando la frattura etnica, geografica e sociale che attraversa il paese, dove i kanaki rappresentano circa il 40% della popolazione totale. 
Il voto di oggi, salutato con favore da tutti i partiti francesi a eccezione di France insoumise, rischia di vanificare il lungo processo di pace. I partiti indipendentisti hanno già dichiarato che non parteciperanno alle discussioni sul futuro della Nuova Caledonia che la Francia ha proposto. 
Per loro l’indipendenza non è negoziabile, lo sono le tappe per raggiungerla.

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