27 gennaio 2022

I cinquant’anni de I limiti dello sviluppo

Cinquant’anni fa veniva pubblicato il rapporto redatto dal Massachusetts Institute of Technology e commissionato dal Club di Roma sui limiti della crescita. Per la prima volta la questione ambientale, fino ad allora poco discussa, si imponeva all’attenzione del pubblico mondiale


Era il 1972 quando il Club di Roma, un “pensatoio” che riuniva scienziati, economisti, manager e attivisti dei diritti civili di ogni parte del mondo, pubblicò The limits to growth, malamente tradotto in italiano come I limiti dello sviluppo
Il libro (https://bit.ly/3Ay89CM), uscito alla vigilia della prima conferenza sull’ambiente umano delle Nazioni Unite, esplose come una bomba nel dibattito internazionale, suscitando un gran numero di polemiche, a destra e a sinistra. Fu la questione ambientale, e con essa il tema della finitezza delle risorse, a far infuriare gli economisti più allineati, che ritenevano inaccettabile mettere in discussione il dogma della crescita economica. 
Il libro non nasceva nel vuoto, ma fino ad allora le tematiche ambientali erano rimaste marginali e poco si erano studiate le relazioni con le attività umane. Per gli autori del rapporto, e in particolare per Aurelio Peccei, il principale promotore del Club di Roma, era necessario guardare al futuro con un’impostazione globale, perché i problemi del pianeta sono intrinsecamente correlati l’uno con l’altro, e la loro soluzione può avvenire soltanto se sono compresi nella loro totalità. 
Il rapporto prende in esame l’aumento della popolazione del pianeta, la produzione agricola, l'esaurimento delle risorse non rinnovabili, la produzione industriale e l’inquinamento e ipotizza, in base a modelli matematici, diversi scenari futuri, giungendo alla conclusione che una crisi sistemica globale può essere evitata solo se si agisce cooperativamente e rapidamente, abbandonando vecchie logiche ormai inadeguate.
La grande industria avvertì subito i rischi connessi a un eventuale successo politico delle tesi del Club di Roma e si impegnò in modo metodico a confutarle, sostenendo che i meccanismi di mercato sono sempre e comunque in grado di rispondere positivamente agli aumenti di domanda. 
A sinistra si riconobbe l’urgenza politica della questione ambientale sottolineando però che la crisi ecologica ha salde radici nel modo capitalista di produzione, nella distinzione tra sfruttati e sfruttatori da un lato e di inquinati e inquinatori dall’altro, cosicché qualsiasi progetto di pura e semplice razionalizzazione del sistema è destinato allo scacco (https://bit.ly/3r6QJKt). 
Anche la Chiesa cattolica si interessò al rapporto e costituì un’apposita commissione di studio, pur rigettando risolutamente le tesi sul problema della sovrappopolazione, e quindi ogni forma di controllo delle nascite.
Dopo l’iniziale interesse, l’attenzione per i problemi sollevati dai Limiti è cominciata a declinare, fino a scomparire quasi del tutto nel corso degli anni Ottanta e Novanta, per poi riproporsi con urgenza negli ultimi anni.
Suonano sempre più attuali le parole che Giorgio Nebbia scriveva nel 2012: “Mai come in questo momento, occorrerebbe tentare di ‘scrivere’ di nuovo le previsioni di interazione tra i fattori che il Club di Roma aveva pensato di mettere in relazione: popolazione, risorse non rinnovabili, benessere (che dipende sia dalla disponibilità di acqua e cibo sia dall’accesso alla conoscenza), produzione di beni materiali, inquinamento, dunque la necessità della rinascita di una cultura ‘del futuro’ in grado di attenuare i prevedibili conflitti fra popoli, paesi e all’interno dei singoli gruppi di paesi.” 

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