4 novembre 2021

In difesa di Danilo Dolci

Piero Calamandrei

In questi giorni, ripercorrendo la vicenda di Mimmo Lucano, molti hanno ricordato Danilo Dolci che nel 1956 fu arrestato per aver promosso e capeggiato una manifestazione di disoccupati che iniziarono lavori di sterramento e di assestamento in una vecchia strada comunale abbandonata allo scopo di dimostrare che non mancavano né la volontà di lavorare né opere socialmente utili da intraprendere a beneficio della comunità. Al processo Dolci fu difeso da Piero Calamandrei. Riproduciamo alcuni passi della sua arringa.


Al centro di questa vicenda giudiziaria c’è, come la scena madre di un dramma, un dialogo tra due personaggi, ognuno dei quali ha assunto senza accorgersene un valore simbolico. È, tradotto in cronaca giudiziaria, il dialogo eterno tra Creonte e Antigone, tra Creonte che difende la cieca legalità e 
Antigone che obbedisce soltanto alla legge morale della coscienza, alle “leggi non scritte” che preannunciano l’avvenire.
Nella traduzione di oggi, Danilo dice: “per noi la vera legge è la Costituzione democratica”; il commissario Di Giorgi risponde: “per noi l'unica legge è il testo unico di pubblica sicurezza del tempo fascista”.
E qui affiora il secondo punto sul quale io mi trovo in dissidio con le premesse affermate dal P.M., quando egli ha detto che i giudici non devono tener conto delle “correnti di pensiero”, che i testimoni accorsi da tutta Italia hanno fatto passare in questa aula.
Ma che cosa sono le leggi, illustre rappresentante del P.M. se non esse stesse “correnti di pensiero”? Se non fossero questo, non sarebbero che carta morta. E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarvi entrare l'aria che respiriamo, mettervi dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue e il nostro pianto.
La nostra Costituzione è piena di queste grandi parole preannunziatrici del futuro: “pari dignità sociale”; “rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”; “Repubblica fondata sul lavoro”; “Diritto al lavoro”; “condizioni che rendano effettivo questo diritto”; assicurata ad ogni lavoratore e alla sua famiglia “un’esistenza libera e dignitosa”...
Grandi promesse che penetrano nei cuori e li allargano, e che una volta intese non si possono più ritirare. Come potete voi pensare che i derelitti che hanno avuto queste promesse, e che vi hanno creduto e che chi si sono attaccati come naufraghi alla tavola di salvezza, possono ora essere condannati come delinquenti solo perché chiedono, civilmente senza far male nessuno, che queste promesse siano adempiute come la legge comanda?
Signori Giudici, che cosa vuol dire libertà, che cosa vuol dire democrazia? Vuol dire prima di tutto fiducia del popolo nelle sue leggi: che il popolo senta le leggi dello Stato come le sue leggi, come scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall'alto. Affinché la legalità discenda dai codici nel costume, bisogna che le leggi vengano dal di dentro non dal di fuori: le leggi che il popolo rispetta, perché esso stesso le ha volute così.
Siamo d’accordo: Danilo è un seccatore: per questo gli hanno messo i ferri; per questo lo hanno arrestato; per questo lo hanno trascinato nel fango; per questo lo vorrebbero tenere per altri otto mesi in prigione.
E sia pure. E poi? E i disoccupati di Partinico? E la fame di Partinico? I bambini che muoiono di fame a Partinico? Che darete ad essi? Che parola di speranza di conforto uscirà per essi dalla vostra sentenza?
No, questa non è, onorevole signor P.M., una “comunissima vicenda giudiziaria”. Questo non è il processo di Danilo Dolci. Su quella panca degli imputati non c'è lui; altre colpe, altre incurie, altre crudeltà, altri delitti siedono su quella panca: tutti li conosciamo, anche voi li conoscete.
Questa non è la causa di Danilo; e neanche di Partinico; e neanche della Sicilia. È la causa del nostro Paese: del nostro Paese da redimere e da bonificare.
Voi dovete aiutarci, signori Giudici a difendere questa Costituzione che è costata tanto sangue e tanto dolore voi dovete aiutarci a difenderla, e a far sì che si traduca in realtà.
Aiutateci, signori Giudici, colla vostra sentenza, aiutate i morti che si sono sacrificati e aiutate i vivi, a difendere questa Costituzione che vuol dare a tutti i cittadini del nostro Paese pari giustizia e pari dignità!


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