12 dicembre 2011

Uccidere l'euro

Paul Krugman 

Una politica di austerità unita ai timori della Banca Centrale per l'inflazione rende praticamente impossibile ai paesi indebitati uscire dalla loro trappola, ed è, pertanto, una ricetta per la moltiplicazione dei default, il fallimento delle banche, e un collasso finanziario generale
Si può salvare l'euro? Non molto tempo fa ci fu detto che il caso peggiore era un default della Grecia. Ora sembra probabile un disastro molto più grande


E' vero, la pressione del mercato si è leggermente allentata mercoledì [30 novembre] dopo l'annuncio della Banca Centrale di un'espansione delle linee di credito (ciò che, in realtà, non comporta grandi differenze). Ma anche i più ottimisti considerano ormai che l'Europa è avviata sulla strada della recessione, mentre i pessimisti avvertono che l'euro può diventare l'epicentro di un'altra crisi globale.
Come ha potuto andare tutto così storto? La risposta che sentite sempre è che la crisi dell'euro è stata causata dall'irresponsabilità fiscale. Aprite la televisione ed è molto probabile che vi imbattiate in qualche esperto che dichiara che se gli Stati Uniti non tagliano drasticamente le spese, noi Americani finiremo come la Grecia.
Ma la verità è quasi l'opposto. Malgrado i leader europei continuino a insistere che il problema è l'eccessiva spesa nei paesi deficitari, il problema reale è che l'Europa, nel suo insieme, spende troppo poco. E i loro sforzi per raddrizzare le cose imponendo misure di austerità sempre più dure hanno giocato un ruolo fondamentale nel rendere la situazione ancora peggiore.
La storia: negli anni sino alla crisi del 2008, l'Europa, come l'America, aveva un sistema bancario in rapido rialzo e una rapida crescita del debito. In Europa, tuttavia, gran parte dell'attività di prestito era transfrontaliera, e imponenti fondi tedeschi fluivano verso l'Europa meridionale, in gran parte verso il settore privato, non verso i governi. Questi prestiti erano percepiti come a basso rischio; solo la Grecia aveva grandi deficit durante gli anni buoni; al contrario la Spagna aveva avanzi di bilancio sino alla vigilia della crisi. Poi è scoppiata la bolla. La spesa delle famiglie nei paesi indebitati è caduta rapidamente. E la domanda che avrebbero dovuto porsi i leader europei era come evitare che questi tagli alle spese dessero l'avvio ad una recessione. Al contrario, invece, essi risposero all'inevitabile aumento del deficit indotto dalla recessione chiedendo a tutti i governi, non solo a quelli dei paesi indebitati, di ridurre le spese e aumentare le tasse. Gli avvertimenti che questa politica avrebbe aggravato la recessione furono scacciati con fastidio. "L'idea che le misure di austerità possano innescare una stagnazione è incorretta, dichiarava l'allora presidente della BCE, Jean-Claude Trichet. Perché? Perché "politiche che ispirano fiducia favoriscono e non ostacolano la ripresa economica". Ma la favoletta della fiducia non si è materializzata.
E c'è dell'altro. Durante gli anni del denaro facile, salari e prezzi nell'Europa meridionale sono cresciuti molto più rapidamente che nel Nord-Europa. Questa divergenza deve essere rovesciata, o abbassando i prezzi nel Sud, o innalzandoli nel Nord. E il come è importante: se l'Europa meridionale è forzata a una deflazione, pagherà un duro prezzo in termini di occupazione e la sua situazione debitoria peggiorerà. Le probabilità di successo sarebbero molto maggiori se il gap fosse chiuso con l'aumento dei prezzi nel Nord-Europa. Ma questo significherebbe un momentaneo aumento dell'inflazione in tutta l'area euro, e questo i politici europei hanno detto chiaramente che non lo accetteranno. In aprile, infatti, la BCE ha cominciato a innalzare i tassi di interesse, anche se era chiaro a tutti gli osservatori che non c'erano rischi di inflazione o erano minimi.
Probabilmente non è per caso che proprio in aprile la crisi dell'euro è entrata in una nuova, disastrosa, fase. Non preoccupiamoci della Grecia, la cui economia sta all'economia europea come Miami sta agli Stati Uniti. A questo punto i mercati avevano perso fiducia nell'euro, chiedendo interessi più alti anche a paesi come l'Austria e la Finlandia, ben noti per il loro rigore. E non è difficile capire il perché: la combinazione di una politica di austerità per tutti e l'ossessione morbosa della Banca Centrale per l'inflazione rende praticamente impossibile ai paesi indebitati uscire dalla loro trappola, ed è, pertanto, una ricetta per la moltiplicazione dei defaults, il fallimento delle banche, e un collasso finanziario generale.
Mi auguro che gli Europei cambino direzione prima che sia troppo tardi; ma non credo che lo faranno. Anzi, credo che sia molto più probabile che noi Americani li seguiamo nel baratro.
Perché anche in America, come in Europa, l'economia è trascinata in basso da debitori problematici, essenzialmente, nel nostro caso, proprietari di case. Ed anche qui abbiamo un disperato bisogno di politiche fiscali e monetarie espansioniste, per sostenere l'economia sino a che i debitori si riprendano. Ma anche qui, come in Europa, i discorsi sono dominati dai rimproveri per il deficit e dall'ossessione per l'inflazione.
Così, la prossima volta che sentite qualcuno dire che se l'America non abbatte le proprie spese finiremo come la Grecia, rispondete che se abbattiamo le spese mentre siamo in recessione, finiremo come l'Europa. E, in effetti, siamo sulla buona strada. 

(International Herald Tribune, 3-4 dicembre 2011)

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