12 dicembre 2011

E ora, la democrazia

Raniero La Valle 

Il liberismo economico viene presentato come una legge di natura, ma così non è. Occorre ripristinare la democrazia, restituendo una vera rappresentanza politica ai cittadini sia in Italia sia in Europa


[... ] Il dato che è sotto gli occhi di tutti è questo: a guidare la danza sono i mercati, le borse, il denaro e i surrogati del denaro, le banche, le agenzie di rating, le insostituibili competenze dei “tecnici”, la diarchia di fatto che si prende in Europa un potere che nessuno le ha dato, l'economia finanziaria ignara dell'economia reale, e non i popoli, non parlamenti ridotti a belletto del potere, non la politica, di cui infatti è diventata opinione comune che si debbano abbattere gli inutili costi. E tutto questo viene presentato come legge di natura: non c'è niente da fare, è così, nessuno lo ha voluto e nessuno lo può disvolere. 
Non è vero: è stato voluto e ora grazie al mordere della crisi si vuole portare definitivamente a casa la vittoria del liberismo economico, della sregolatezza massima e dello Stato minimo, dell'interdizione alla politica, “alla Repubblica”, come dice la Costituzione, a occuparsi degli “ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini; cioè si vuole chiudere una volta per tutte la partita, durata oltre un secolo, tra un'economia che si pretende anarchica ed ogni sua possibile correzione e regola. E questa vittoria arriva ora anche in Costituzione; già hanno cambiato l'art. 81 (il pareggio del bilancio), con un linguaggio peraltro contorto e bruttissimo, che anche in ciò fa a pugni con la limpida e a tutti comprensibile Costituzione del 48. E allora si capisce che i ministri piangono: perché hanno cuore (e in questo la differenza di dignità e di stile con il precedente governo è abissale): ma questo pianto è anche una confessione di impotenza, e dovrebbe quindi suonare come un segnale di riscossa.
E allora occorre porre mano a un restauro della democrazia nei due ordini in cui oggi essa è negata: nell'ordine interno, restituendo la centralità al Parlamento, una vera rappresentanza ai cittadini, non solo come singoli, ma anche nelle formazioni sociali e politiche in cui si esprime il loro pluralismo, facendo della legge elettorale una legge di verità, e non di investitura di poteri minoritari e illegittimi, ricucendo le due Italie, di sopra e di sotto, di destra e di sinistra, in un'Italia sola. 
E nell'ordine europeo bisogna portare la democrazia là dove si esercita il potere. L'Europa è mancata nel momento in cui alle generose, magnanime intenzioni iniziali dei Padri fondatori, non ha fatto seguito la costruzione di una vera unità politica. All'Atto unico europeo, a Maastricht, a Lisbona, è bastato trasformare una forma economica, opinabile e datata, in regime politico cogente e normativo per tutti: una ideologia economica fatta ordinamento, che batte moneta. Questo regime non ha i limiti e i controlli che i poteri statali avevano nella democrazia di ciascun Paese. Il potere se n'è andato, è stato il primo migrante della nuova Europa; ma la democrazia degli Stati non l'ha seguito. Lì il potere, qua la democrazia, ormai più involucro che sostanza. Occorre portare la democrazia lì dove oggi è il potere; una democrazia europea, una unità non delle politiche europee, ma una unità politica europea, nel tempo e nel regno, questo sì sovrano, della democrazia. Questa dovrebbe essere la nuova bandiera. Di tutti, ma almeno di una sinistra che non sa più che cosa essere.

("Rocca", n. 1 2012)

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