Alle regionali del 28 marzo 2010 abbiamo subito una sconfitta storica. Cerco spunti che aiutino a capire e a trovare una rotta per risalire in un vecchio scritto di Lelio Basso.
Dopo la sconfitta, con speranza
Scrive Roberta De Monticelli: Parlo a chi si è svegliato questa mattina con la morte civile nel cuore. La disperazione civile, per essere più esatti. Sotto i nostri occhi il trionfo di uomini e donne il cui massimo ideale morale suona, urlato sulle piazze: “via le mani dalle nostre tasche”. Il cui primo concetto si esprime, in grevi lingue locali: “padroni a casa nostra”. Uomini e donne che plaudono alla libertà del malaffare, che trovano normale distribuire a figli e amanti cariche e risorse pubbliche, normale umiliare il mestiere dell’informazione fino a farne fabbrica di menzogne o di indifferenza alla distinzione fra il vero e il falso, normale sputare sui principi costitutivi di uno stato di diritto, laico e democratico.E prosegue citando il caso della ragazza stuprata in classe a Salò nell'indifferenza generale come emblematico della stagione che stiamo vivendo.
Concetti analoghi esprimeva Curzio Maltese in un bell'articolo di qualche settimana fa sull'«homo berlusconicus», e non credo ci siano dubbi sul fatto che la pesante sconfitta elettorale sia in gran parte figlia di questo ormai lungo degrado nell'amoralità e nell'incultura.
La nostra sconfitta è di proporzioni storiche: la coalizione di centro-sinistra perde dieci punti percentuali rispetto alle precedenti regionali e stenta a mantenere i livelli minimi raggiunti nelle tornate precedenti. Peggio ancora la federazione della sinistra: non solo non raggiungiamo il quorum, risultato che mi pareva possibile, ma arretriamo rispetto a tutte le consultazioni precedenti, ottenendo addirittura meno voti di una lista di protesta con caratteristiche qualunquiste come quella ispirata da Beppe Grillo. L'indubbia qualità dei nostri sostenitori, dei nostri militanti, dei nostri elettori, non si è tradotta in quantità di voti.
I risultati della Puglia, o quelli delle comunali di Lecco, pur non potendo certo modificare il quadro generale, mostrano però che qualcosa si può fare.
E per prima cosa dobbiamo cercare di capire in cosa abbiamo sbagliato, perché non c'è dubbio che abbiamo sbagliato, se nel momento di più grave crisi del sistema capitalistico, i critici più conseguenti di questo sistema quasi scompariamo dalla scena politica. Cosa dobbiamo fare per riconquistare la fiducia della popolazione, per darci un progetto coerente, per tornare ad ispirare fiducia, entusiasmo, speranza in un mondo migliore, per ricostruire una società civile, un tessuto solidale, e per dare a questa società e a questo tessuto, che pure esistono, un'organizzazione politica capace di dare loro forma e voce?
L'unica cosa certa è che non sarà un lavoro facile.
Riporto di seguito un brano scritto da mio padre nel 1934, che forse può aiutarci a cogliere qualcosa di quello che accade oggi:
I termini della lotta politica sono quelli che sono e guai all'uomo politico che preferisce trastullarsi coi suoi concetti anziché prender contatto con la realtà . Ora in Italia i dodici anni di fascismo che son passati e gli altri che si preparano son venuti formando e finiranno col plasmare una generazione, per la quale le espressioni "democrazia", "liberalismo", "socialismo" saran vuote di senso, una generazione interamente avvezza a considerare i problemi politici e sociali nei termini in cui glieli presenta la realtà di ogni giorno.
I giovani che oggi, a 30 anni, vengono a poco a poco assumendo i posti di responsabilità nella vita civile e politica, nella scuola, nel giornalismo, nelle aziende, nelle libere professioni, erano in liceo all'epoca della marcia su Roma e non hanno della lotta politica di un tempo che un ricordo confuso e in genere non gradito. Un fenomeno analogo, se non in tutto identico, si può riscontrare anche nella classe operaia. Non voglio dire con questo che tutti gli italiani siano fascisti: tutt'altro. Alle realizzazioni miracolose del regime non crede quasi più nessuno,ma tanto meno si crede all'antifascismo. Parlare oggi agli italiani di "difesa delle libertà democratiche" è parlare un linguaggio che non intendono più'. Bisogna rinunciare a difendere e puntellare un edificio che crolla da ogni parte se si vuol veramente costruire l'edificio del socialismo. E costruire non è possibile senza una massa alla quale non si può parlare se non di cose che essa conosce, delle esperienze che vive, dei problemi che la angustiano ogni giorno, di tutto quanto insomma forma da anni ormai e formerà per anni ancora la sostanza della sua attività.
Bisogna convincersi una volta per tutte che il fascismo è una realtà di fatto della quale si deve tener conto, e che non i problemi di venti anni fa ma quelli che il fascismo lascia oggi aperti possono essere la matrice da cui scaturiranno le soluzioni di domani. Diversamente si è dei sopravvissuti. Le sconfitte della socialdemocrazia su quasi tutti i fronti di Europa, l'involuzione del comunismo, ci permettono finalmente di liberarci dai pesi morti, dalle formule, dai luoghi comuni per iniziare veramente un lavoro nuovo con animo realistico e spregiudicato, totalmente sgombro da nostalgie e da soluzioni già pronte.
Con speranza, malgrado tutto, un saluto cordiale
Piero Basso
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